La giornata di ieri della conferenza internazionale sull’Aids in corso a Monaco di Baviera è stata assai movimentata. In mattinata, un corteo improvvisato di scienziati e attivisti ha attraversato la Messe Munchen, il centro fieristico che ospita il convegno, per puntare dritto allo stand della casa farmaceutica Gilead con tanto di cartelli e striscioni. «L’avidità della Gilead uccide», «La vita prima del profitto», «40 dollari e non 40 mila» gli slogan più letti e ascoltati. Al centro dello scontro c’è il lenacapavir, un farmaco prodotto dall’azienda e capace di prevenire l’infezione da Hiv.

Il farmaco è già usato come terapia per le persone sieropostive, e in questa formulazione viene venduto a 42 mila dollari l’anno negli USA. L’azienda ha scoperto che il lenacapavir funziona anche come profilassi pre-esposizione (PrEP): bastano due iniezioni l’anno per abbattere, se non azzerare, il rischio di contrarre l’Hiv da un rapporto non protetto o con uno scambio di siringhe. Dopo tanti annunci, ieri è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine lo studio effettuato su circa cinquemila donne in Sudafrica e Uganda in cui il farmaco Gilead si è dimostrato nettamente superiore a quelli già utilizzati, che richiedono somministrazioni quotidiane a cui poche persone a rischio si sottopongono con la necessaria regolarità. Ricevere un’iniezione ogni sei mesi, invece, è assai più facile.

Per medici e attivisti il nuovo farmaco offre una chance concreta di debellare la malattia, che colpisce 40 milioni di persone nel mondo con 1,3 nuovi contagi ogni anno. Ma se il prezzo del farmaco rimarrà così elevato, molti Paesi tra quelli più a rischio non potranno permetterselo.

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A Monaco ieri era presente anche il vicepresidente della Gilead Jared Baeten, che ha tenuto un’attesissima conferenza stampa per provare a difendere l’azienda dalle accuse di ingordigia. Le sue parole – e soprattutto i suoi silenzi – hanno però alimentato la polemica invece di smorzarla. La Gilead ha annunciato l’intenzione di consentire la produzione di una versione «generica» del lenacapavir, rinunciando alle royalties del brevetto del farmaco, nei soli Paesi a basso reddito.

Nonostante le apparenze, la portata di questo annuncio per la lotta all’epidemia di Hiv è assai ridotta. Dalla lista, infatti, rimarrebbero fuori paesi considerati a reddito medio come Cina, Sudafrica, Brasile (più altri nove Paesi) in cui avviene il 41% dei nuovi contagi e in cui l’accesso regolare ai farmaci per le fasce più povere della popolazione non è affatto garantito. In Sudafrica, meno del 7% delle persone che ne avrebbero diritto segue la profilassi pre-esposizione. In Brasile, si arriva al 14%. Un farmaco che richiede solo un’iniezione ogni sei mesi potrebbe raggiungere anche le persone che fanno più fatica a accedere alle terapie e a seguirle con regolarità, se il prezzo fosse accessibile. Baeten non ha risposto alle domande dei giornalisti sui singoli Paesi, sostenendo che la lista non è ancora definitiva.

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Che la Gilead voglia estrarre il massimo profitto dall’epidemia di Hiv non sorprende nessuno. L’azienda è nota per i prezzi esorbitanti dei suoi farmaci. Lo Yescarta, una terapia genica usata nella cura dei linfomi, costa oltre quattrocentomila dollari. Il Tecartus, contro la leucemia linfoblastica, circa seicentomila euro (in Italia sono a carico del Ssn). In passato l’azienda fu protagonista di un braccio di ferro internazionale sul prezzo del Sovaldi, l’antivirale che ha trasformato l’epatite C in una malattia curabile.

L’azienda fissò un prezzo pari a diverse decine di migliaia di dollari a trattamento, costringendo molti governi a fornire i farmaci in misura limitata nonostante l’ampia platea di pazienti interessati. Durante l’emergenza Covid, infine, la Gilead produsse il primo farmaco antivirale efficace remdesivir e lo vendette al prezzo di circa tremila dollari a trattamento nonostante l’emergenza sanitaria internazionale.