Il silenzio del centro, con le sue strade metafisiche come in un quadro di De Chirico, viene rotto – allontanandosi verso l’hinterland torinese – dai rumori delle fabbriche, che mentre tutto si è bloccato non hanno smesso la produzione. Gli ultimi due giorni, in Piemonte, sono stati un susseguirsi di proteste e di preoccupazioni, cresciuti con il comparire dei primi casi di contagiati da Covid-19 nelle aziende. È successo alla Cnh di San Mauro, alla Denso di Porino, alla Lear di Grugliasco e nello stabilimento Amazon di Torrazza Piemonte.

«È stato come prendere consapevolezza di qualcosa che ti lascia sconcertato. Da mercoledì sono venute a galla le paure tra i colleghi», racconta Antonio Gullo, tuta blu della Lear, che produce i sedili per la Maserati, che attualmente, e non per l’attuale emergenza sanitaria, sta lavorando a singhiozzo. Un panico motivato e destabilizzante. Ma più di tutto, nello scoramento dei lavoratori, ha contato la delusione maturata in merito ai provvedimenti presi mercoledì dal governo: «Si aspettavano – spiega Edi Lazzi, segretario della Fiom Torino – dal premier Conte un segnale e più attenzione per coloro che sono maggiormente esposti in quanto lavorano in luoghi in cui la presenza di molte persone e il contatto diretto è inevitabile. Gli operai vedono gli uffici svuotati dal telelavoro, mentre loro sono costretti ad andare ad avvitare un bullone. Ci arrivano, inoltre, segnalazioni di lavoratori, soprattutto laddove non c’è la presenza strutturata del sindacato, di mancato rispetto delle direttive di sicurezza emanate dal governo».

La Fiom, la Fim e la Uilm chiedono «di sospendere le attività lavorative fino a quando non siano ripristinate le condizioni di sicurezza dei lavoratori» e «alla Regione Piemonte di intensificare i controlli degli ispettori del lavoro». In molte provincie come Asti, Vercelli e Cuneo ci sono stati blocchi e scioperi (Mtm, Ikk, Dierre, Trivium) con alte adesioni. «C’è panico e confusione anche perché si registrano i primi casi di contagio che, talvolta, non vengono resi pubblici dalle aziende», afferma il segretario regionale della Fiom, Vittorio De Martino. E Marco Grimaldi, consigliere regionale di Luv, denuncia come «alla Nct di Chivasso i lavoratori che hanno chiesto il rispetto delle norme sul Coronavirus siano stati minacciati di licenziamento».

Una delle situazioni più tese si è registrata alla Denso di Poirino, dopo che due dipendenti sono risultati positivi al Coronavirus. Gianni Mannori della Fiom l’ha vissuta in prima linea: «I lavoratori hanno mosso una protesta. In un’azienda di 1400 dipendenti, dove ancora mancano le mascherine, e nonostante la buona volontà di applicare le misure di prevenzione, è difficile garantire la salute delle persone, a partire dalla distanza tra un operaio e l’altro. L’azienda ha deciso di chiudere per un giorno, mentre noi chiedevamo lo facesse fino al 22 marzo. Ora, ci aspettiamo un’ulteriore misura di buon senso».

Oggi, come ieri, la Cnh Industrial di San Mauro rimane chiusa per un intervento di sanificazione dello stabilimento, dopo che mercoledì i 50 lavoratori della linea cingolati si sono fermati quando hanno saputo di un caso sospetto di Covid-19. In balia delle notizie hanno deciso di farlo spontaneamente costringendo l’azienda a dare loro comunicazione ufficiale. Sono giorni surreali, «alcune imprese vogliono chiudere facendo prendere le ferie ai lavoratori come, per esempio, la Farid di Vinovo, facendo, però, così pagare di tasca propria ai dipendenti i danni causati da un’emergenza nazionale», riporta Mannori della Fiom. Alla Lear, per ora, la produzione continua: «Dopo il primo contagio, sei persone sono state mandate a casa come misura cautelativa ed è stato imposto un metro di distanza tra lavoratori alla linea di montaggio», racconta Gullo.

A Mirafiori, gli operai Fca hanno promosso una «lettera appello» al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, garante della Costituzione, affinché faccia rispettare il loro diritto alla salute: «Serve fermare tutte le produzioni non necessarie, chiudendo le fabbriche di beni non essenziali». Per il segretario Edi Lazzi è il momento della responsabilità «del governo ma anche dell’Europa, se blocchiamo ora potrebbero bastare quindici giorni, se invece rimandassimo potrebbero non essere sufficienti».