All’aeroporto di Fiumicino, a Roma, arrivano i primi trecento afghani attraverso i corridoi umanitari da Pakistan e Iran. All’aeroporto di Kabul, invece, le donne sole, prive di un uomo che le accompagni e faccia loro da “custode”, non possono partire: vietato lasciare il Paese. Così hanno deciso i Talebani, i quali, secondo un rapporto di Amnesty International reso pubblico ieri, «in meno di un anno hanno decimato i diritti delle donne e delle ragazze», da quello all’educazione a quello al lavoro e, appunto, alla libera circolazione, fuori dal Paese ma anche dentro. Oltre una certa distanza da casa, occorre essere accompagnate da un guardiano/custode. Ma c’è altro, come lascia intendere il titolo del rapporto: Death in Slow Motion. Women and Girls under the Taliban Rule (Morte al rallentatore. Donne e ragazze sotto il regime talebano).

Il sistema di protezione e sostegno alle donne e alle ragazze in fuga dalla violenza domestica è stato distrutto, le donne vengono incarcerate in modo arbitrario se infrangono le nuove regole che le discriminano, quelle tra loro che hanno protestato in modo pacifico sono state minacciate, arrestate, detenute, in alcuni casi torturate o sono sparite per giorni. E aumentano i matrimoni precoci e forzati. Questa la sintesi del rapporto di Amnesty International, che andrebbe letto integralmente e che restituisce un’immagine dell’Afghanistan molto diversa da quella presentata il 25 e 26 luglio a Tashkent dal ministro di fatto degli Esteri dell’Emirato, Amir Khan Muttaqi.

Nel corso di una conferenza internazionale organizzata dal governo uzbeco e alla quale hanno partecipato più di 20 rappresentanti speciali e inviati per l’Afghanistan, esponenti di organizzazioni internazionali e dell’Organizzazione per la cooperazione islamica, Muttaqi ha usato toni consueti, rassicurando l’uditorio ed elencando i risultati raggiunti in soli 11 mesi di governo: sicurezza in tutto il Paese, amnistia, politica di tolleranza, «annunciata per la prima volta nella storia del Paese», reclutamento di nuovi soldati e poliziotti, e via dicendo. Per Muttaqi, i Talebani credono nelle riforme politiche, rispettano i diritti di tutti i cittadini, a partire dalle donne, alle quali è garantito anche il diritto al lavoro: «dove ci sono le condizioni, lavorano, dove non ci sono, stiamo facendo in modo che ci siano in futuro».

Così Muttaqi, uomo della vecchia guardia. Che è poi passato alle questioni che più stanno a cuore agli attori regionali, specie quelli che, come l’Uzbekistan, confinano con l’Afghanistan: «Garantiamo la sicurezza in tutto il Paese, dal nostro territorio non arriverà nessuna minaccia terroristica». Sul territorio afghano, infatti, sono presenti alcuni gruppi jihadisti, che per Kabul rappresentano insieme un vulnus e una risorsa. Un pericolo se gli “scappano di mano”, una risorsa se, come avviene ora, vengono usati come moneta di scambio con gli attori regionali. Anche con l’Uzbekistan, che ha subito alcuni attacchi dal territorio afghano rivendicati dalla “Provincia del Khorasan”, la branca locale dello Stato islamico. Anche da queste preoccupazioni sulla stabilità del Paese nasce la conferenza di Tashkent, a cui hanno partecipato tra gli altri rappresentanti di Cina, Iran, Pakistan, Russia, Stati uniti, Unione europea. E anche da qui nasce l’appoggio di Tashkent a una delle richieste centrali dei Talebani: il rilascio degli assett della Banca centrale afghana congelati all’estero (circa 9 miliardi di dollari, di cui 7 alla Federal Reserve di New York). Il ministro di fatto Muttaqi lo ha detto chiaro e tondo: «Abbiamo rispettato tutte le promesse fatte. Ora chiediamo che gli Usa rispettino le loro: il rilascio deve essere incondizionato». Rispetto a soli tre mesi fa, su questo fronte il negoziato tra Washington e Kabul è molto progredito. Ma è difficile che Muttaqi venga soddisfatto. Più probabile, invece, che i fondi scongelati passino per un mediatore-terzo, figura di garanzia e controllo. Ma la questione delle riserve rimane centrale: secondo un’agenzia di stampa locale, per il ministro degli Esteri uzbeco, Vladimir Norov, «lo scongelamento delle riserve afghane e la rimozione delle sanzioni è un passaggio fondamentale verso la normalizzazione delle relazioni» tra Kabul e Washington.