Malgrado l’aplomb dell’assessore Andrea Mazzillo e il messaggio rassicurante che il M5S ha voluto dare in risposta alla bocciatura dei revisori dei conti, l’amministrazione capitolina si trova ora davanti alla mission impossible di riscrivere lo schema di bilancio 2017-2019 tenendo conto dei paletti fissati dal Mef, via Oref, entro il 28 febbraio prossimo, pena commissariamento del Comune come prevede di default la proroga governativa.

«Chi parla o scrive di commissariamento o di fallimento del Comune di Roma non ha idea di cosa dice – ha detto ieri Mazzillo – Abbiamo portato il bilancio preventivo in giunta con largo anticipo». Dunque, aggiunge, «c’è tutto il tempo per approvare il bilancio entro la scadenza di legge siamo già al lavoro per farlo e non ci fermeremo neppure a Natale e Capodanno». L’assessore, che a caldo aveva incassato senza battere ciglio le critiche dei contabili, ieri ha mostrato però un sussulto: «Rispettiamo l’Oref, che chiede rigore e rispetto dei vincoli di finanza pubblica, e correggeremo dei parametri – scrive su Fb – Ma del nostro bilancio preventivo è stata apprezzata la manovra per il contenimento dei costi e nel parere ci sono considerazioni che attengono anche alle politiche sociali».

«Abbiamo detto in campagna elettorale che avremmo difeso le fasce sociali più deboli – aggiunge l’assessore che Raggi avrebbe voluto come vicesindaco – e non verremo meno alle nostre promesse, pur rispettando la contabilità pubblica: come ha sancito di recente la Corte Costituzionale, le garanzie minime per rendere effettivi i servizi sociali non possono essere condizionate da motivi di bilancio. Resterà quindi deluso chi spera di poter trovare nel nostro bilancio disposizioni contrarie alle priorità di questa amministrazione: non ci sarà la dismissione di Atac, tanto per fare un esempio, perché i romani ci hanno eletto per risollevare Roma e non per svenderla». Ieri la sindaca Raggi ha affidato all’assessore Massimo Colomban «il compito di lavorare allo snellimento burocratico, alla riorganizzazione e velocizzazione della macchina amministrativa» nell’ambito «di un più ampio processo di revisione strutturale che coinvolge anche le aziende partecipate».

Va detto subito[ che non è la prima volta che l’Oref ammonisce l’inquilino di turno del Campidoglio a rimuovere gli scogli evidenti tra l’amministrazione delle finanze pubbliche e il Patto di stabilità, anche se è la prima volta che “perde la pazienza”. Lo scrive lo stesso organismo nel parere non positivo trasmesso alla giunta Raggi. Per esempio a proposito delle partecipate, quando tratta l’accantonamento a copertura delle perdite: «L’organo ribadisce, condividendo i criteri e i principi del Mef, quanto già enunciato nel parere di previsione 2016-2018 (presentato da Tronca, ndr) e cioè la necessità urgente di razionalizzazione del perimetro delle partecipate provvedendo alla cessione e/o allo scioglimento delle società non strettamente necessarie al perseguimento dei fini».

Le raccomandazioni, si legge nel documento, sono state «più volte espresse dai revisori e disattese dall’Ente», e sono «da estendersi a tutte le altre società che presentino situazioni analoghe» alle partecipate. Non solo: nel bilancio «non sono espresse le politiche da adottare circa il recupero delle entrate, più volte oggetto di raccomandazione dai revisori e che costituisce uno degli aspetti più drammatici e critici di Roma Capitale».

Ma ad esprimersi duramente contro lo schema di bilancio a 5 Stelle non è solo l’opposizione capitolina. Il cartello di associazioni e movimenti Decide Roma, che in campagna elettorale aveva incontrato Raggi per chiederle un’inversione di rotta, attacca: «Nessuna scelta strategica per il futuro, nessun investimento per la città, ma solo tagli e poca trasparenza». «Il debito della Capitale e la sua gestione commissariale non sono minimamente in discussione, né i 200 milioni che il comune riversa annualmente al Commissario straordinario, a Cassa Depositi e Prestiti e alle banche, di interessi usurai (oltre il 5% annuo)».

Nulla è cambiato sulle entrate, aggiungono: «Ci teniamo l’evasione fiscale, l’elusione delle proprietà del Vaticano, l’esenzione per le scuole private. I costruttori pagheranno l’aliquota minima sulle case vuote ed invendute, resterà l’odiosa tassazione ad aliquota unica per i poveracci». Mentre i tagli ai servizi, sostiene Decide Roma, sono «in piena continuità con le amministrazioni precedenti», gli investimenti crollano rispetto al 2016: edilizia abitativa (-70%), trasporti e mobilità (-28%), gestione del territorio e dell’ambiente (-81%), beni culturali (-20%). «Con circa 490 milioni di euro» destinati agli investimenti, «è il secondo valore più basso degli ultimi vent’anni». Secondo le associazioni, insomma, «non è possibile garantire i servizi essenziali se non si mette in discussione il Piano di rientro e non si procede a tagliare il debito pregresso ricontrattando i tassi di interesse con le banche creditrici».

Non è una questione di incompetenza ma di scelte politiche.