Incontro Jorge Viana nella sua casa di Rio Branco, un villino con un ampio giardino con alberi d’alto fusto, il prato inglese e un salone accogliente, alle pareti molti quadri, fotografie in bianco e nero, e oggetti che ricordano la sua storia e il suo mondo, quello degli indios e dei seringueiros dell’Acre, i lavoratori della gomma, nella regione del Brasile più sperduta e dimenticata a confine con Perù e Bolivia di cui è stato governatore.

Politico del Partito dei lavoratori (Pt) più volte parlamentare e presidente del Senato, è quello che più di altri ha trasformato gli ideali di florestania in politiche nazionali, riconoscendo ai popoli della foresta diritti di cittadinanza e sfruttamento della terra secondo principi di agroecologia, dando forza al mondo della cooperazione e a un’economia comunitaria.

 

Jorge Viana (Afp)

 

Viana è un uomo piccolo di statura di sessant’anni, dai modi semplici e molto diretto, un ingegnere forestale che attualmente insegna all’Università di Brasilia e lavora a progetti di sviluppo sostenibile, ma che non ha nessuna intenzione di abbandonare l’attività politica, in quanto vuole candidarsi alle prossime elezioni nazionali che si terranno tra due anni. Tra l’altro è stato uno dei pochi politici del Pt che dopo l’inaspettata sconfitta elettorale, ha avuto una posizione molto critica nei confronti del suo partito che secondo lui non ha ammesso che alcuni suoi membri e alleati erano coinvolti in vicende di corruzione.

Che sta succedendo in Brasile? C’è un presidente, Bolsonaro, che attacca governi esteri, ong, il mondo dell’istruzione, quella che definisce «spazzatura marxista», popoli indigeni e l’Amazzonia, dove aumentano incendi e deforestazione. Come racconterebbe a un lettore italiano questo momento difficile della vita del suo paese?

Stiamo vivendo un momento politico asfissiante, un incubo, soprattutto per gli indios e le popolazioni dell’Amazzonia. A noi che viviamo nella regione dell’Acre, ricorda il momento della morte di Chico Mendes, la gravità di quel momento tragico. C’è un disprezzo impressionante per le popolazioni indigene da parte del governo Bolsonaro, la volontà di cancellare tutte le tutele costituzionali, delegittimare la Funai, l’ente statale che dovrebbe salvaguardare le terre demarcate, anche se il Tribunale federale per il momento ha bloccato questo tentativo, ritenuto anticostituzionale. Una politica che al contrario protegge i grilleiros, i grandi proprietari terrieri, che adesso possono andare in giro armati e sparare, far valere le proprie ragioni con l’uso delle armi. È un inferno per chi vive a contatto con queste persone, per gli indios, per i lavoratori agricoli delle fazende, il governo incita alla distruzione delle foreste come ai tempi della dittatura, c’è un progetto di legge per dimezzare le terre demarcate dei popoli indigeni e quelle in concessione ai coltivatori diretti delle cooperative, per darle ai grandi affaristi.

E la foresta continua a bruciare, soprattutto in Rondonia, nello stato di Amazonas, ma anche qui nell’Acre.

Dopo la vittoria di Bolsonaro era prevedibile, sapevamo chi aveva alle spalle, i potentati dell’agrobusiness, i grandi faccendieri agricoli. Nell’ultimo ventennio la deforestazione era salita a 25 chilometri quadrati all’anno, ma grazie alle nostre politiche, quelle dei governi di Lula e Dilma Roussef, negli ultimi tre era stata ridotta a 5 mila. In un solo anno, con l’arrivo del nuovo esecutivo di destra, c’è stata una crescita di oltre il 100%, anche perché nel bilancio ha diminuito drasticamente gli investimenti per combattere il disboscamento, attraverso controlli fatti direttamente nei territori. Sarà un serio problema per il Brasile, in quanto questi dati non rispettano l’accordo di Parigi del 2015 sulla riduzione dei gas serra e la temperatura media globale, riducendo i rischi dei cambiamenti climatici.

 

Una protesta di donne indigene a Brasilia (Afp)

 

Intanto Norvegia e Germania hanno interrotto i finanziamenti al fondo che si occupa della conservazione dell’Amazzonia.

Sì, perché il governo Bolsonaro ne aveva bloccate le operazioni e stava utilizzando quei soldi per fare altre cose, con una spregiudicatezza e un’irresponsabilità sul piano dei rapporti internazionali che parlano chiaro.

Cosa sta facendo l’opposizione, il Pt, il Psol (Partito socialismo e libertà, ndr), in parlamento e nella società?

Non esiste un’opposizione oggi in Brasile. Al potere c’è un gruppo di fascisti, in simbiosi con il popolo, che hanno una larga maggioranza e controllano tutto, dai mezzi di comunicazioni ai grandi giornali, che sono tutti schierati con lui, da quattro anni si vive una crisi politica-istituzionale, dove settori del potere giudiziario hanno criminalizzato i partiti di sinistra, un piano per distruggere Lula come simbolo di un Brasile democratico, alternativo a quelli autoritari. C’è proprio un accanimento contro di lui spalleggiato dalla grande stampa. Il procuratore pubblico Deltan Dallagnol ha fatto una dichiarazione assurda, incomprensibile che però fa capire in quale situazione ci troviamo: «Non abbiamo prove ma la certezza che lui è colpevole». Con Lula in prigione e Bolsonaro al potere tutto quanto si traduce in qualcosa di simbolico e tragico. La società ha fatto un passo indietro, ripetendo gli errori di sempre. È come se si fosse divisa in tre parti, e due hanno scelto Bolsonaro, estrema destra e conservatori, che sono state storicamente sempre molto forti in Brasile.

Però segnali di resistenza ci sono stati, come la grande manifestazione di metà maggio contro i tagli all’istruzione, o quelle recenti e molto partecipate di San Paolo e Rio De Janeiro in difesa dell’Amazzonia.

La più grande opposizione a Bolsonaro sono lui e la sua famiglia, perché ogni giorno creano un problema, come il figlio Flavio, indagato per associazione per delinquere, appropriazione indebita e riciclaggio. Sì, adesso la gente comincia a risvegliarsi, il pendolo si è alzato molto e comincia ad abbassarsi, ma ci vorrà ancora molto tempo. Comunque è evidente che Bolsonaro è inadeguato, un politico mediocre, sono trent’anni che è nel Congresso ma non se n’è accorto nessuno. Vuole fare il conservatore ma non ha neanche una cultura politica liberale per legittimarsi. Lui non è pazzo ma malato di mente sì (ride, nda), ci sono molti dubbi che possa durare quattro anni. Questo si pensa anche in ambienti militari importanti.

 

Jair Bolsonaro (Afp)

 

Come ha reagito il mondo degli artisti, degli intellettuali?

Non abbiamo neanche un ministro della Cultura, il governo ha tagliato i fondi per il cinema, con la scusa che sono tutte produzioni di cultura marxista, tanto che è nata una polemica con l’attore Wagner Moura, il quale ha definito Bolsonaro un razzista amico dei fascisti. Oggi i partiti di opposizione sono molto fragili, hanno poca capacità di creare consenso in una società sempre più orientata dai media, condizionata dai media, quindi il mondo della cultura più far crescere e sviluppare un movimento di opinione forte contro il governo e le sue politiche liberticide. Artisti molto popolari come Caetano Veloso e Chico Buarque, che da sempre si battono contro il governo di destra e le sue derive autoritarie, in questo momento storico sono molto importanti.