Il prossimo 24 aprile ricorrono dieci anni dal crollo del Rana Plaza, a Dacca, capitale del Bangladesh. Era un complesso residenziale che da tempo mostrava segni di cedimento e che si accartocciò su se stesso uccidendo 1.138 lavoratori e ferendone più di duemila. Quello che viene considerato il più grande disastro mortale nella storia della produzione tessile – il palazzo di otto piani ospitava cinque fabbriche tessili fornitrici dei principali marchi internazionali della fast fashion – è stato ricordato nei giorni scorsi in diversi eventi online da sindacalisti e organizzazioni che da allora hanno dato battaglia perché i marchi del tessile riconoscessero i risarcimenti e perché venissero applicate nuove leggi a tutela di chi lavora. Una battaglia con diversi successi e una campagna, che riparte in questi giorni nel mondo, per ricordare non solo quella strage ma i passi ancora da fare.

SI DEVE ALLA PRESSIONE di sindacati e coalizioni di associazioni – come la campagna Clean Clothes (in Italia “Abiti puliti”), Remake o Worker Rights Consortium – se decine di marchi dell’abbigliamento e rivenditori firmarono infatti l’anno dopo l’Accordo sulla sicurezza antincendio (Accord on Fire and Building Safety in Bangladesh) cosa che ha reso più sicuri i luoghi di lavoro per almeno 2.5 milioni di lavoratori tessili nel Paese. Nel 2013 viene stipulato anche il Rana Plaza Arrangement per il risarcimento delle famiglie delle vittime e dei lavoratori rimasti inabili. Un accordo su risarcimenti complessivi per 30 milioni di dollari. Sui limiti di quell’accordo riflette Deborah Lucchetti di “Abiti puliti”: «I limiti sono costituiti dalla inadeguata base salariale su cui è stato calcolato l’indennizzo, dato lo scarto tra i minimi salariali e il livello considerato dignitoso secondo benchmark credibili e l’esclusione dei danni psicologici per dolore e sofferenza, non ricompresi nella convenzione 121 dell’Ilo (Ufficio internazionale del lavoro). Una aporia del sistema tuttora irrisolta e che costituisce una delle principali sfide dell’attuale dibattito sull’accesso alla giustizia nella imminente direttiva europea sulla Due Diligence Aziendale Sostenibile».

INDUBBIAMENTE però l’accordo è un successo e anche in Pakistan si arriva a un’altra vittoria. Recente. Un nuovo accordo (Pakistan Accord) nasce nel dicembre 2022, ispirato a quello del Bangladesh, firmato dopo il crollo del Rana Plaza, un riferimento divenuto ormai ineludibile. A metà febbraio 2023, si contavano già 33 marchi firmatari per un totale di 300 fabbriche protette. Anche questo accordo ha un triste precedente: l’incendio della fabbrica Ali Enterprises di Karachi nel 2012, il peggior incendio nella storia dell’industria tessile globale. Morirono oltre 250 operai. Anche questo accordo ha vinto grazie a una forte pressione di attivisti e sindacati.

ECCO PERCHÉ «il decennale del crollo del Rana Plaza offre la straordinaria opportunità di riflettere sull’efficacia degli accordi raggiunti per la protezione della vita delle lavoratrici tessili in Bangladesh e dal 2023 anche in Pakistan. Auspichiamo – dice ancora la coordinatrice della Campagna Abiti Puliti – che le imprese italiane operanti in quei paesi, decidano di aderire agli accordi, dimostrando di mettere in pratica condotte di impresa responsabili in grado di prevenire gli incidenti sul lavoro e costruire una vera cultura della sicurezza».
Nel decennale del Rana Plaza infatti vedrà la luce la direttiva europea sulla Corporate Sustainability Due Diligence, ormai al termine del lungo processo negoziale. «Senza cedere a sin troppo facili valutazioni – conclude Lucchetti – non può sfuggire il fatto che la natura vincolante dell’Accordo sulla sicurezza, nella sua originale articolazione tra obblighi per le imprese, meccanismi rimediali, apparato sanzionatorio e trasparenza, rappresenti il più efficace esempio di due diligence applicata ante litteram».