Strade bloccate, copertoni bruciati, manifestazioni estemporanee di frustrazione e disagio a macchia di leopardo nella capitale e in tutto il Libano: questo lo scenario di ieri dopo l’ennesima svalutazione della moneta.

I manifestanti si sono riversati nelle strade nelle zone di Mazraat Yachoua nel Metn, Tripoli, Saida, Halba nella regione di Akkar, sull’autostrada che collega Beirut al nord nei pressi di Nahar al Bared e a Beirut nelle aree di Cola (assieme a Daura una delle due principali stazioni di trasporto), la centralissima Piazza dei Martiri, Hamra nei pressi della Banca Centrale. A Tripoli sono stati esplosi svariati colpi di arma da fuoco che non hanno provocato danni a persone.

SI TRATTA DI GENTE esasperata dalla peggior crisi che il Libano abbia mai vissuto, peggiore di quella degli anni della guerra civile (1975/90), durante la quale esisteva comunque un’economia di guerra formale e/o informale tale da tenere in piedi il paese. Oggi larghe fasce di popolazione devono fronteggiare un impoverimento graduale e inesorabile. Si allarga a dismisura la forbice sociale e viene praticamente spazzata via la classe media.

Moltissime le stazioni di servizio che hanno deciso di non aprire e di non rifornire di carburante il paese. Una lettera aperta è stata ieri scritta dal sindacato dei proprietari delle stazioni di servizio al ministro dell’energia ad interim Walid Fayad, attraverso l’Agenzia nazionale di Informazione: nella lettera viene chiesta la dollarizzazione momentanea della benzina: prezzi in dollari per contrastare le oscillazioni della lira.

SLEIMAN, TASSISTA, 40 anni, dice che non riesce più a vivere: «Oltre alla benzina, quanto dovrei chiedere per una corsa? È diventato per me impossibile fare anche cose semplici come comprare il latte in polvere per l’ultimo arrivato, pagare l’affitto o semplicemente ricaricare il telefono agli altri miei figli: è umiliante. Tutti, anche quando non chiedono direttamente dollari, vogliono essere pagati al cambio. Il problema è che importiamo tutto e non produciamo niente».

La lira è passata dal 2019 ad oggi da 1.500 circa lire per un dollaro a 75mila. Molta parte della classe media continua a guadagnare in una moneta che è ormai carta straccia.

Il quadro politico è disarmante. Se da un lato il Fondo monetario internazionale e la comunità internazionale continuano a chiedere l’elezione di un presidente della repubblica, dopo la fine del mandato di Aoun a ottobre, di un parlamento, dopo le elezioni del 15 maggio scorso, e una serie di riforme politiche per contrastare corruzione e nepotismo – che permetterebbero l’arrivo di fondi già stanziati per tentare di risollevare il paese o almeno di arginare la crisi –, lo stallo politico costringe il Libano a un’implosione senza rimedio.

LA SANITÀ e il sistema educativo, per la grandissima parte privati, sono al collasso. L’ondata migratoria è la più massiccia della storia del Libano, anche in proporzione agli anni della guerra civile. Sopravvive chi ha parenti all’estero che mandano dollari o chi ha uno stipendio in dollari. Continuano i tagli all’elettricità e la partecipata Électricité du Liban riesce a dare pochissime ore di corrente al giorno, compensata, ma non per tutta la giornata, dai generatori a gestione privata che hanno prezzi proibitivi.

Le proteste di ieri, disorganizzate e frutto di frustrazione più che di volontà politica, danno il polso di una società disincantata e ormai disunita, dopo l’illusione della thaura (rivolta) scoppiata nell’ottobre 2019 contro tutta una classe politica corrotta, ma che rimane saldamente al proprio posto.