La Linea Adriatica, altrimenti conosciuta come metanodotto dei terremoti, si snoda lungo gli Appennini, nelle zone più a rischio sismico d’Italia: da Massafra a Sulmona il tratto è già realizzato, mentre da Sulmona a Minerbio ci sono 430 km ancora da costruire. Passando tra boschi e aree protette, i cantieri provocheranno un imponente sbancamento e l’abbattimento di milioni di alberi.

L’opera, che comprende anche una centrale di compressione a Sulmona, costerà ben 2 miliardi e 500 milioni di euro, che verranno pagati dai cittadini attraverso la bolletta del gas e (se realizzata entro il 2027), da finanziamenti europei (RePowerEu).

«Si tratta di un vero e proprio crimine economico in un Paese in cui vengono cancellati dal Pnrr i fondi per mettere in sicurezza i territori a rischio di dissesto idrogeologico», attacca Mario Pizzola, del Comitato cittadini per l’ambiente di Sulmona. Vista la mutazione del paesaggio, tra terremoti, frane e alluvioni, i comitati No Tubo chiedono nuove Valutazioni di impatto ambientale, essendo quelle esistenti vecchie già di 12 anni.
Eleonora Evi, deputata di Alleanza Verdi e Sinistra e co-portavoce nazionale di Europa Verde, a fine settembre ha presentato un’interrogazione al ministro dell’Ambiente per chiedere di rivedere il progetto del metanodotto anche in considerazione del fatto che attraverserà territori a elevata sismicità, come confermato ancora una volta dalla recente forte scossa di terremoto verificatasi nell’Appennino tosco romagnolo.

«I giusti valori dello scuotimento del suolo possono portare alla rottura della condotta – sottolinea il geologo Francesco Aucone – La Snam fin dagli albori del progetto ha dimostrato di essere carente nella conoscenza di come il fenomeno si esplica nella fascia appenninica, con la conseguente sottovalutazione del rischio sismico, trascurando soprattutto di considerare la fagliazione, fenomeno per cui una faglia sismica può arrivare a deformare permanentemente la superficie terrestre coinvolgendo qualsiasi struttura che si trovi su di essa. Per una struttura lineare interrata come il gasdotto i rischi sono evidenti. Le zone appenniniche sono ricche di questo tipo di faglie, molte delle quali non ancora identificate».

Almeno 700 frane si sono mosse per l’eccezionale alluvione di maggio nell’Appennino romagnolo, cambiando drasticamente volto al paesaggio, frane attive o quiescenti che il metanodotto dovrà attraversare, con il rischio di riattivarle. Eppure, per tutta l’estate, la Snam ha proceduto a contattare i proprietari per gli espropri. I cantieri nel tratto Sestino-Minerbio inizieranno nella primavera 2024.

Il metanodotto porterà il gas a pressione di 76 atmosfere, passando anche a 30 metri dalle case, svalutandole e mettendole a rischio. I comitati ricordano l’esplosione del gasdotto Snam a Mutignano di Pineto (TE), il 6 marzo 2015, in seguito ad uno smottamento di terreno. L’incendio causò distruzioni e danni fino a oltre 100 metri in tutta la zona circostante. In Valmarecchia nel 2016 un altro episodio simile.

«Il gasdotto passerà sotto al fiume Savio, un fiume già esondato a maggio, spaccando strati rocciosi per oltre 20 volte», fa notare Aldo Loris Cucchiarini, attivista di Mountain Wilderness e del Grig (Gruppo Intervento Giuridico). «Quale sarà l’impatto sulle falde e sulla pericolosità idraulica?». Una cosa è chiara per i comitati No Tubo: «Questo gasdotto è costoso, dannoso, inutile e sovradimensionato per il fabbisogno interno, pensato solo per arricchire chi lo costruisce e per l’esportazione del gas all’Europa».