Nel 2023 oltre 500 mila persone provenienti da America Latina, Africa e Asia hanno attraversato a piedi la foresta tropicale del Darién, frontiera naturale che separa la Colombia da Panama, tappa obbligata del loro travagliato viaggio verso gli Stati Uniti. Oltre la metà di loro sono venezuelani, ma negli ultimi mesi sono aumentati i migranti provenienti dalla Cina: alcuni di loro sono dissidenti religiosi, in fuga dalle persecuzioni di Xi Jinping. Il loro passaggio sta trasformando l’economia di alcuni villaggi colombiani.

NELLA VIA CHE COSTEGGIA la spiaggia principale di Necoclí, alcune donne di Haiti stendono le magliette da calcio dei loro figli, lavate poco prima nelle acque salate del golfo dell’Urabá. Di fronte a loro, in un negozio di calzature, un ragazzo camerunense che sfiora i due metri d’altezza cerca un paio di stivali adatti alla sua stazza. Gli serviranno per il cammino verso gli Usa. Poco più in là, un gruppo di uomini cinesi si affida a un’applicazione di traduzione istantanea per chiedere a un venditore ambulante venezuelano, Javier, il prezzo di un repellente per zanzare.

«I cinesi sono organizzati: hanno i soldi – racconta Javier – e i contatti negli Usa. Arrivano in Colombia dall’Ecuador, dove non hanno bisogno del visto. Stanno qui a Necoclí una o due notti, poi partono per Panama. Per noi venezuelani è diverso. Il mio stipendio da meccanico a Caracas era di 6 dollari al mese. Per salire sulla barca che ti avvicina a Panama ne servono 350… Li sto raccogliendo, con calma».

Javier è in Colombia da due mesi, insieme alla moglie e ai loro tre figli. Vende bevande e prodotti per la selva ai migranti sul molo di Necoclí, ultimo punto di ristoro prima di affrontare, dopo un’ora di motoscafo, la tappa più impervia del viaggio verso gli Stati Uniti: la selva del Darién, densa foresta pluviale che collega, o separa, la Colombia dall’America Centrale.

CONTROLLATI dall’organizzazione criminale del Clan del Golfo, i 55 chilometri di confine terrestre che dividono Panama dalla Colombia sono avvolti da una giungla tropicale attraversabile solo a piedi. Il cammino può durare dai 3 ai 7 giorni, a seconda del clima, dell’andatura, del denaro a disposizione e degli imprevisti: sono innumerevoli le testimonianze di persone costrette ad abbandonare il viaggio, a causa di furti, violenze, infortuni o intemperie naturali. «Fino a qualche anno fa – racconta Javier – si impiegavano 10-11 giorni. Tanti migranti perdevano la vita nel tragitto. Ora partono 2 mila persone al giorno, la selva si è aperta ed è più clemente. Inoltre, la mafia che gestisce il traffico dei migranti sta spianando nuovi cammini, per rendere più veloce e profittevole il viaggio».

Per capire le proporzioni assunte dalla crisi migratoria del Darién, basti considerare che durante l’intero 2018 attraversarono illegalmente la frontiera colombo-panamense poco più di 9 mila persone, in maggioranza provenienti da India, Bangladesh e Camerun. Cinque anni dopo, nel 2023, hanno percorso la selva oltre 500 mila migranti. Più della metà di loro sono originari del Venezuela, convinti a viaggiare dalle recenti modifiche legislative negli Usa, più benevole verso rifugiati provenienti da paesi politicamente avversi alla Casa Bianca (Venezuela, Cuba, Nicaragua). Seguono 56 mila ecuadoriani, in fuga da un paese travolto da un’inedita stagione di narcoviolenza, e 43 mila haitiani che si lasciano alle spalle la più irrisolta delle crisi sociali della regione. A sorprendere è però il quarto Paese di provenienza dei migranti del Darién: la Cina.

SONO CIRCA 26 MILA le persone di nazionalità cinese che nel 2023 hanno attraversato illegalmente la frontiera tra la Colombia e Panama. Sebbene siano stati proprio i migranti cinesi ad avviare le migrazioni internazionali per il Darién (nel 2010 erano sostanzialmente gli unici ad attraversare la selva), a sorprendere è il loro drastico incremento negli ultimi mesi del 2023: oltre 4 mila sono arrivati a Panama dal Darién nel solo mese di novembre, secondo i registri degli uffici di migrazione panamensi.

Il particolare profilo dei migranti cinesi, generalmente benestanti o comunque dotati di migliaia di dollari in contanti, in alcuni casi prestati, ha accelerato il cambiamento strutturale dell’economia di Necoclí. Un tempo villaggio di pescatori e destino turistico per i colombiani di Medellín, oggi Necoclí si improvvisa cittadina cosmopolita e multilingue. Nei pressi della stazione, alcune decine di migranti cinesi – ma anche vietnamiti, nepalesi, afgani – si aggirano disorientati alla ricerca di una camera libera per la notte. Mentre case private e attività commerciali si trasformano in fretta e furia in redditizi ostelli improvvisati, gli hotel storici espongono indicazioni e cartelli in lingua cinese e introducono nuove regole di convivenza: è possibile fumare nelle hall e in stanza. Come in Cina.

RISERVATI E DIFFIDENTI, i pochi migranti cinesi che conoscono l’inglese preferiscono non condividere informazioni sul loro viaggio. Su di loro, un coyote (guida per migranti al servizio del Clan del Golfo) racconta: «Ora è pieno di cinesi. Per noi sono una miniera d’oro. Ci contattano dal loro paese, concordiamo i costi. Sanno che possono avere un trattamento vip: se pagano 3 mila dollari li portiamo direttamente in barca a Panama e si evitano il cammino per la giungla. Poi da Panama al Messico si arriva facilmente in bus. Il Messico è un’altra storia, ma lo sanno….».

Sotto la tutela della mafia locale, i migranti cinesi non sembrano intimoriti dai pericoli della traversata. La maggiore preoccupazione di alcuni di loro risiede nei presunti atti di spionaggio del governo di Xi Jinping. In effetti, sebbene alcuni siano migranti economici, tanti altri, forse la maggioranza, sono dissidenti politici o religiosi.

NELLA HALL DI UN HOTEL del centro di Necoclí, incontriamo un gruppo di cinque persone provenienti dalla provincia di Jilin, disposte a condividere la loro storia. «Qua pratichiamo tutti il Falun Gong – racconta in inglese una di loro -, una disciplina spirituale che in Cina è stata proibita nel 1999». E aggiunge: «Io sono stato in carcere per tre anni. Alcune persone che viaggiano con me sono state torturate e perseguitate dalla polizia governativa. Non andiamo negli Usa per avere una vita migliore, ma per potere essere liberi». La donna conferma che tanti dei cinesi che stanno migrando fanno parte del Falun Gong, le cui reti di rifugiati nel mondo si appoggiano, tra l’altro, a movimenti politici anticomunisti avversi al governo Xi Jinping.

Le storie dei migranti poco importano alla mafia colombiano del Clan del Golfo, che controlla alla luce del sole ogni angolo di Necoclí. In questa piccola babele caraibica, negli ultimi due anni il business della migrazione è divenuto più redditizio di quello della cocaina.«I gringos comprano meno coca e più manodopera straniera a basso prezzo – racconta il coyote -, Per noi i guadagni sono enormi: un motoscafo produce fino a 100 mila dollari ogni giorno, e ne muoviamo 22. Per questo il Clan del Golfo ci tiene che nessuno crei problemi».

Mentre i migranti cinesi prendono sonno nei migliori hotel di Necoclí, le strade periferiche della cittadina raccontano le tragiche spaccature di classe che permeano anche i movimenti migratori. Nei pressi del molo, centinaia di famiglie venezuelane trovano rifugio dal caldo tropicale montando le loro tende in claustrofobici spazi d’ombra, alti non più di un metro, tra i rialzi in legno degli uffici migratori.

IN SPIAGGIA, il venditore ambulante Javier si riposa per qualche minuto, dopo aver venduto per tutta la giornata repellenti, pastiglie per depurare l’acqua e altri prodotti di sopravvivenza. Ha il Mare dei Caraibi alle spalle, mentre mostra a sua moglie un video appena ricevuto da alcuni amici: si vede una famiglia venezuelana, una coppia e due bambini, intimorita davanti all’improvvisa apparizione di un puma nella giungla del Darién. Javier e la moglie sorridono. Tra poche settimane toccherà a loro. «È pericoloso, sì. Ma dobbiamo. Altrimenti cosa facciamo?».