«Ho emesso una fattura di circa 25mila euro nei confronti del tribunale di Trapani un anno e mezzo fa: non ho ancora visto un soldo. L’80% di quella cifra è stata anticipata dal mio cantiere navale per mettere in sicurezza la Iuventa, evitando che affondasse», dice Salvatore D’Angelo, responsabile operativo di Base nautica. Ha risposto solo lui all’appello della capitaneria di porto del capoluogo siciliano per la realizzazione dei lavori ordinati dal gup Samuele Corso a dicembre 2022. «È una situazione imbarazzante, da tutti i punti di vista», continua D’Angelo.

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C’è una storia nella storia tra le pieghe del maxi processo alle Ong: è quella dell’imbarcazione umanitaria sequestrata il 2 agosto 2017. La Iuventa è una piccola nave di colore blu che un gruppo di attivisti, principalmente tedeschi, riuniti nella ong Jugend Rettet avevano acquistato per fare tutto ciò che era nelle loro possibilità contro i naufragi dei migranti in fuga dalla Libia. Dal giugno 2016 alla data del sequestro realizza 175 interventi, assistendo 23mila persone.

La Iuventa nel cantiere navale dopo l'ordine del gup, foto di Iuventa crew

Dopo che la procura di Trapani emtte il provvedimento sanzionatorio, che sarà confermato anche in Cassazione, la nave viene trasferita da Lampedusa al capoluogo siciliano. E abbandonata. La custodia viene assegnata alla locale capitaneria di porto che però non si preoccupa di mantenerla in buone condizioni. La lascia in acqua e quella inizia ad arrugginire. Non controlla gli ingressi e a bordo sale qualcuno che ruba e qualcun altro che si ricava un alloggio di fortuna.

Nell’autunno del 2022 la nave rischia ormai di affondare. Lo rileva un’ispezione autorizzata dal tribunale. Così il gup, dando seguito a una richiesta avanzata dall’avvocato Leonardo Marino per conto di Jugend Rettet, ordina alla capitaneria di ripristinarla com’era al momento del sequestro. Inizia un carteggio tra questa autorità, il tribunale, le difese, i periti, le società in grado di fare i lavori necessari. Che sono tanti e costano parecchio perché per troppo tempo nessuno si è preso cura di quel mezzo.

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In attesa del giudizio viene autorizzata la spesa di circa 25mila euro per la messa a secco. Ma una prima stima complessiva parla di circa 120mila euro necessari a rimettere la Iuventa in grado di navigare. «Sono troppo pochi, è chiaro. Non posso fare un calcolo preciso così su due piedi – afferma D’Angelo – Bisognerebbe vedere nel dettaglio tutto quello che va sistemato e che tipo di lavoro si vuole fare. Ma sarà necessario almeno mezzo milione di euro. I danni sono tanti. È assurdo che sia stata abbandonata in mare per tutto quel tempo».

Ieri il gup ne ha disposto il dissequestro e la restituzione a Jugend Rettet. Certo così non potrà usarla e qualcuno dovrà rispondere delle condizioni in cui versa. Qualcun altro dovrà pagare per il ripristino: lo Stato. Soldi pubblici che si aggiungono ai circa 3milioni sprecati per le indagini preliminari del maxi processo e al costo incalcolabile di circa 40 udienze preliminari. Mentre il Mediterraneo veniva privato di una nave salva vite.