Se fosse una partita di tennis la Corte di giustizia Ue avrebbe assegnato tre set a Sea-Watch, uno al ministero delle Infrastrutture, mentre su un altro sarebbe necessario lo spareggio. Le pronunce del tribunale europeo sui rinvii pregiudiziali, però, stabiliscono dei principi generali: il Tar siciliano, a cui l’Ong aveva presentato due ricorsi contro i fermi amministrativi delle sue navi, stabilirà chi ha ragione nei casi concreti.

SARÀ COMUNQUE più difficile per la guardia costiera italiana trattenere in porto le navi umanitarie e impossibile continuare con la prassi adottata tra maggio 2020 e luglio 2021: effettuare le ispezioni denominate Port state control (Psc) al termine di ogni missione e ogni volta detenere le imbarcazioni umanitarie. Restano però dei punti di ambiguità che non escludono, in casi specifici, l’applicazione di quella logica che ha causato per 15 lunghi mesi i blocchi delle navi salva vita.

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RIPERCORRIAMO la vicenda. Nell’estate 2020 le Sea-Watch 3 e 4 sono detenute in Sicilia in seguito a dei Psc. L’organizzazione impugna i provvedimenti davanti al Tar, che chiede alla Corte Ue di interpretare cinque punti della direttiva 2009/16/ce sui poteri degli Stati di approdo. Sul primo dà ragione alle autorità italiane: i Psc sulle navi Ong sono legittimi, nonostante queste non svolgano attività commerciali. Il secondo è conteso. Per la Corte Ue «l’utilizzo di navi da carico ai fini di un’attività sistematica di ricerca e soccorso» può giustificare controlli straordinari. Questo criterio, però, non vale in generale, cioè al termine di ogni missione. Servono invece «elementi giuridici e fattuali circostanziati» che dimostrino pericoli seri per salute, sicurezza, ambiente marino o condizioni di lavoro.

COMUNQUE, e qui ha piena ragione l’Ong, l’applicazione della direttiva comunitaria deve avvenire nel rispetto delle convenzioni internazionali sul diritto del mare (Unclos e Solas). Il salvataggio di vite umane prevale su qualsiasi altra considerazione. Dunque le persone soccorse vanno considerate sempre naufraghi e mai passeggeri, come sostenuto dalle autorità italiane in virtù della sistematicità dei soccorsi. Questo permette di derogare alcuni requisiti cui nave ed equipaggio devono attenersi in condizioni normali.

Psc della guardia costiera sulla Sea-Watch 3

INOLTRE lo Stato di approdo, cioè l’Italia, non può pretendere la riclassificazione delle navi anche se queste svolgono una funzione diversa da quella prevista dalle certificazioni rilasciate dallo Stato di bandiera, che ha una funzione prevalente. Nei casi di irregolarità può indicare azioni correttive che devono essere «non solo idonee e necessarie» ma anche «proporzionate» a tutelare sicurezza, salute o ambiente. O in alternativa denunciare le carenze all’autorità di bandiera a cui spetta il giudizio finale. Si tratta di un punto importante perché in merito alle principali irregolarità contestate dall’Italia alle Ong gli Stati di bandiera – Germania per le Sea-Watch e Sea-Eye, Spagna per Open Arms e Aita Mari, Norvegia per Ocean Viking e Geo Barents – hanno dato ragione alle organizzazioni umanitarie.

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INFINE, i fermi sono possibili nei casi eccezionali in cui sia riscontrato un evidente pericolo ma deve comunque valere il «principio di leale cooperazione tra gli Stati» per risolvere la situazione. Anche in ragione dell’assenza nel diritto comunitario e in quelli nazionali di certificazioni per le navi private che svolgono attività di ricerca e soccorso. Certificazioni richieste invece dall’Italia per giustificare i fermi.

PER SEA-WATCH la decisione della Corte è «una chiara vittoria del soccorso in mare»: dimostra che le navi sono state trattenute con «decisioni arbitrarie e pretestuose». La guardia costiera italiana non ha rilasciato comunicati in merito, né risposto alla richiesta di commentare la decisione avanzata dal manifesto.

LA VICENDA dei fermi amministrativi non va confusa con la guerra alle Ong dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini. L’applicazione sistematica delle detenzioni è iniziata quando al suo posto c’era già Luciana Lamorgese. Il Viminale, però, ha declinato responsabilità dirette sui Psc, affermando che sono competenza della guardia costiera che dipende dal ministero delle Infrastrutture. A maggio 2020 la ministra era Paola De Micheli (Pd), che ha negato di aver dato indicazioni politiche in questo senso, e da febbraio 2021 Enrico Giovannini (vicino al centrosinistra).

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