Per la quinta volta la Commissione europea ha deciso di deferire Varsavia alla Corte di giustizia dell’Ue. Il nuovo fronte aperto da Bruxelles, che si aggiunge a quello sulla camera disciplinare dei giudici, riguarda il Tribunale costituzionale salito alla ribalta negli ultimi anni per il verdetto choc del 22 ottobre 2020 e la conseguente messa al bando dell’aborto terapeutico in Polonia. Nel mirino della Ue le due sentenze con le quali la corte polacca aveva contestato il primato del diritto europeo sull’ordinamento nazionale. Anche se lo spettro di una «Polexit» resta ancora relativamente lontano, la frattura tra la Polonia e l’Ue appare ormai insanabile.

Il Tribunale costituzionale era stato il primo organo giuridico a essere finito nel mirino della destra populista di Diritto e giustizia (Pis) dopo la vittoria alle parlamentari del 2015. Allora il Pis, fondato dai fratelli Kaczynski, aveva bloccato l’insediamento di tre giudici scelti dal governo precedente per nominare altrettanti dublerzy, ovvero tre «doppi» scelti direttamente dal nuovo governo. Attualmente il Tribunale costituzionale «orbanizzato» dal Pis è attraversato da una faida interna che ne paralizza l’attività: c’è discordia sulla carica ricoperta dalla presidente Julia Przyłebska, la cui durata era stata fissata a 6 anni qualche mese dopo il suo insediamento. In questo momento l’organo costituzionale non sembra avere i numeri per potersi esprimere sul veto temporaneamente posto dal presidente polacco Andrzej Duda all’ennesima «riformina» delle giustizia che trasferirebbe le competenze della tanto vituperata camera disciplinare – creata dal Pis e dai suoi alleati nel 2018 per «valutare» l’operato di magistrati e avvocati in tutto il paese – alla Corte amministrativa suprema (Nsa).

Il governo polacco si sta aggrappando alla speranza che l’approvazione di tale provvedimento possa servire a sbloccare i 35 miliardi di euro del Recovery plan messi sul piatto dall’Ue per la ripresa post-Covid del Paese sulla Vistola. Una speranza che non trova necessariamente riscontro nella realtà visto che Bruxelles ha elencato una lunga lista di condizioni, alcune delle quali legate alla giustizia, che Varsavia è chiamata a soddisfare per scongelare i fondi. Come se non bastasse, in ballo ci sono anche i fondi delle politiche di coesione, 76,5 miliardi nel periodo 2021-2027, la cui attribuzione è ormai condizionata dalla presenza di alcuni prerequisiti normativi tra cui il rispetto dei valori inclusi della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue da parte degli Stati membri. In materia di giustizia e stato di diritto, la Polonia resta un «osservato speciale» proprio come l’Ungheria di Orbán. E inutile dire che il mancato ottenimento dei fondi Ue, o anche soltanto un ritardo significativo nell’erogazione delle risorse messe a disposizione dall’Ue, generebbe un malcontento trasversale in Polonia con delle ripercussioni significative sul risultato delle elezioni parlamentari in programma in autunno.