Piantagioni di caffè, produzione di birra artigianale e confezioni ecologiche, itticoltura e persino un nuovo brand di moda sono alcuni dei progetti produttivi messi in piedi dagli ex guerriglieri delle Farc che hanno sottoscritto gli accordi di pace del 2016 col governo colombiano. Secondo l’Agenzia nazionale] per la Reintegrazione, sono 13.987 gli ex combattenti che hanno ricevuto formazione e sostegno per dare vita a 39 micro imprese che favoriscano il loro reinserimento nella vita civile. Eppure, visto dal punto di vista dei protagonisti, il panorama non è così roseo.

Ai ritardi nelle consegne di materiali e sussidi si associano il sospetto da parte di vasti settori della società e la persecuzione da parte di paramilitari e sicari. Solo nel 2020 sono stati uccisi 64 ex guerriglieri nei territori adibiti alla loro formazione professionale.

Gonzalo Beltran è l’incaricato della Cooperativa Tessendo Pace, composta da 21 ex guerriglieri del dipartimento di Tolima, nel centro del paese. Dopo quattro anni di lavoro nel dicembre scorso sono riusciti a lanciare il proprio marchio, Avanza, con cui sono entrati a pieno nel mercato della moda colombiana. «I progetti che sono riusciti a sopravvivere ce l’hanno fatta grazie all’impegno di chi li ha portati avanti», spiega Beltran. E sulla violenza esercitata contro i suoi ex compagni di armi aggiunge: «Personalmente a volte mi fa paura andare avanti su questa strada. Poi però penso che valga la pena continuare a provarci».

Perché «Avanza»?

Abbiamo posizionato sul mercato il brand Avanza con l’idea di lanciare un messaggio, di dire ai colombiani che bisogna credere in ciò che ci si propone. Avanza è il nostro modo di invitare le persone ad andare avanti in questa costruzione della pace che ci siamo prefissati nonostante le molteplici difficoltà. Ora stiamo lavorando anche con alcune persone esterne, che siamo riusciti ad impiegare. Si mantiene una dinamica molto familiare, non abbiamo un padrone o un capo, ci muoviamo tra uguali, ed è la principale forza che da spirito al progetto e gli permette di andare avanti. Prima di lanciare il marchio, quando è stata dichiarata la quarantena abbiamo visto che molte persone non avevano la possibilità di procurarsi mascherine e abbiamo deciso di fermare la produzione di indumenti e concentrarci sulla produzione di mascherine per donarle alle comunità più vulnerabili. Ne abbiamo cucite circa 30 mila, e le abbiamo donate a ospedali, carceri, comunità indigene. Quella è la nostra ragione sociale, aiutare il prossimo.

Qual è il bilancio del processo di ritorno alla vita civile?

 

 

Non è per niente positivo. Non sono stati compiuti gli impegni presi durante i negoziati come ci si aspettava. I progetti produttivi come il nostro ad esempio non hanno ricevuto il sostegno di cui hanno bisogno, in special modo dal punto di vista finanziario. Questo ha provocato certo disappunto e sfiducia in molte persone nei confronti del processo di pace. È stato molto difficile anche dal punto di vista politico, perché non esistono garanzie di sicurezza sulle nostre attività e soffriamo ancora di una certa stigmatizzazione quando ci avviciniamo all’arena politica. È evidente poi che non c’è nemmeno alcuna protezione alla nostra incolumità. Sono già più di 250 gli ex guerriglieri firmatari degli accordi di pace assassinati e il governo non da spiegazioni, né vengono condotte inchieste chiarificatrici sui fatti. Tutto ciò è davvero preoccupante, perché provoca dubbi e ombre tra i firmatari degli accordi di pace. Compagni che stavano portando avanti progetti come il nostro sono stati uccisi in diverse parti del paese. Erano progetti in cui stavano ormai cominciando a raccogliere i frutti del loro lavoro. È una questione piuttosto delicata. Ma noi ex guerriglieri siamo persone che non si arrendono, che abbiamo imparato l’autogestione e la perseveranza. Io credo sinceramente che il governo non abbia mantenuto gli impegni presi. Noi siamo totalmente concentrati sul processo di pace nonostante gli omicidi e la violenza, perché crediamo sia l’unica via non solo per noi che abbiamo abbandonato le armi, ma per il benessere di tutto il popolo colombiano.

Perché hai deciso di entrare a far parte delle Farc?

In Colombia da più di un secolo si vive un clima di conflitto. Un conflitto alimentato negli ultimi decenni dalla cattiva amministrazione dei diversi governi che si sono avvicendati al potere. Questo ha creato una grande mancanza di opportunità per molti giovani, uomini e donne sfollati e obbligati ad emigrare. Il bisogno è il motivo per cui così tante persone si avvicinano ai diversi gruppi armati. Personalmente mi sono avvicinato alle Farc perché la consideravo un’organizzazione ben strutturata e organizzata, sia dal punto di vista politico e ideologico, sia sotto il profilo militare. Mi sono avvicinato attratto da una serie di principi etici, una causa per cui combattere.