Dopo i tamburi di guerra commerciale con la Germania, quella ufficialmente dichiarata all’ambiente – meno male che nel suo viaggio trionfale aveva sentito per tre giorni le ragioni degli alleati europei e del Papa. Dopo le smorfie e gli spintoni sul world tour Trump assesta spallate al pianeta il cui destino ambientale pare ora in balia di una storica anomalia americana. L’attacco al Cop21 che a Parigi aveva siglato una rara convergenza di intenti, mette inequivocabilmente a fuoco la dimensione globale dell’emergenza.

L’abbandono di Parigi – promesso ripetutamente durante la campagna – era stato abbondantemente prefigurato dall’azzeramento delle norme sulle emissioni industriali di Obama; il via libera agli oleodotti su terre indiane non lasciava dubbi, ne lo faceva la programmatica rottamazione dello stesso ente per la protezione ambientale (Epa), messo in mano al lobbista petrolifero Scott Pruitt.

L’annullamento degli impegni di Parigi è passo inevitabile che sancisce ancora una volta la paralisi dell’opposizione in un sistema in cui il partito delle corporation controlla presidenza, corte suprema ed entrambe le camere del congresso. Ed è chiaro ormai che anche i settori «moderati» del Gop, putativamente antitrumpisti, puntano cinicamente ad approfittare della supermaggioranza per un arraffo a tutto campo, con mano libera almeno fino alle parlamentari del 2018. Fino ad allora sull’ambiente qualunque barlume di opposizione non proverrà dunque dal congresso blindato ma dovrà far conto su e sulle amministrazioni locali. La maggior parte delle normative ambientali vengono in fin dei conti applicate a livello statale e locale. L’esempio più citato è quello californiano dove l’amministrazione ambientale gode di forte autonomia e ha fissato l’obbiettivo di ridurre l’inquinamento fino a 40% sotto i livelli del 1990 entro il 2030.

Un’evoluzione politica raccontata nel Inconvenient Sequel di Al Gore, il seguito del documentario Oscar in cui il premio nobel dipinge la governance ambientale come una sorta di internazionalismo ambientalista. A gennaio, quando aveva presentato il film al Sundance ci aveva espresso ottimismo pur di fronte all’insediamento imminente di Trump. «Quella che io chiamo la rivoluzione sostenibile è ora così forte che nessun individuo può fermarla», aveva azzardato, arrivando a definirla la chiave di una ripresa economica globale. L’abbandono ufficiale che di riporta gli Usa alla posizione ostruzionista che ebbero per anni quando bloccarono il protocollo di Kyoto, promette ora di mettere a dura prova il suo teorema.

Al Gore, con il suo film, la scorsa settimana era al festival di Cannes e come lui una altro personaggio trasversale della politica/spettacolo, precursore per certi versi di una figura come Trump. Nella sua carica di governatore-star della California, Arnold Schwarzenegger si è comunque distinto come paladino ambientale, promuovendo e firmando nel 2006 la «Ab32», la legge modello dello stato più verde per contrastare il mutamento climatico. A Cannes, Schwarzi (succeduto tra l’altro brevemente a Trump come conduttore del reality Apprentice) promuoveva un documentario eco-oceanografico di Jean-Michel Cousteau. «Quando (Trump) parla di ritorno al carbone sono sciocchezze», ci ha detto sulla spiaggia su cui posava con i piedi nudi nel bagnasciuga per un grappolo di paparazzi. «Non si può tornare indietro, dobbiamo andare avanti e possiamo farcela. Basta guardare alla California, la sesta economia mondiale è 40% più energeticamente efficiente del resto degli Usa». «Non è solo merito mio», ha continuato con poco caratteristica umiltà l’ex governatore, «ma anche di chi mi ha preceduto – perfino Ronald Reagan che a suo tempo creò l’ente per il monitoraggio dell’aria». Quell’organo (il California Air Resources Board) nato per ripulire l’aria più inquinata del paese, gode di totale autonomia e ha l’obbiettivo dichiarato di ridurre l’inquinamento fino al 40% sotto i livelli del 1990 entro il 2030.

La tradizione ambientalista dei governatori californiani è più che mai viva con l’attuale Jerry Brown, il gesuita formatosi politicamente nella contestazione alla guerra del Vietnam e militante ecologico sin dagli anni 70, che da mesi inveisce contro la follia revisionista di Trump.

La «posizione anti-scienza e anti-realtà » del presidente secondo Brown è intollerabile. «La California farà tutto ciò che è in suo potere per mantenere la rotta e incrementare il progresso (ambientale) in ogni stato, provincia e paese». In materia la California ha un peso specifico fuori misura non solo come laboratorio di innovazione tecnologica, ma soprattutto in virtù dei 39 milioni di abitanti che ne fanno il maggiore mercato, in particolare per le auto. Ragione per cui Detroit da sempre si adatta alle normative imposte dallo stato che finiscono così di fatto per diventare legge nazionale. Brown è stato un protagonista del negoziato parigino per il Cop21. «Sono stati i Francesi – conferma Schwarzenegger – a cercare il contatto, a chiedere di lavorare con la California su quel testo».

La settimana scorsa il New York Times ha definito la California «il negoziatore di fatto» in tema di ambiente, notando come i ministri di Canada e Messico avessero appena firmato a San Francisco un nuovo accordo trilaterale per collegare i rispettivi mercati delle emissioni.

Lo stato ha siglato simili trattati con città, province e stati stranieri che assieme rappresentano un terzo del Pil mondiale.

Ieri, mentre si diffondeva la notizia su Parigi, il senato Californiano ha approvato un nuovo disegno di legge. Se votato dalla camera imporrebbe allo stato – 1/8 della popolazione Usa – l’uso di fonti energetiche esclusivamente rinnovabili entro il 2045. E metterebbe la California in rotta di collisione diretta con l’oscurantismo ecologico di Trump che preannuncia di voler togliere allo stato la facoltà di imporre norme proprie. A Sacramento gli avvocati sono già al lavoro in previsione dell’inevitabile scontro legale.

Oggi intanto Brown partirà alla volta della Cina per una settimana di incontri sul mutamento climatico. E una potenziale alleanza con il paese che più di ogni altro potrebbe riempire il vuoto ambientale lasciato dagli Usa. Praticamente un atto pubblico di insubordinazione. E un altro schiaffo a Trump.