La strada delle elezioni in Kenya inizia ad essere costellata di morti e se il buongiorno si vede dalla campagna elettorale il 9 agosto, data del voto, non sarà un buon mattino.

Il 7 aprile, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco Thomas Okari, candidato alle elezioni per il partito Odm (Orange Democratic Movement) nella sua abitazione di Kisii. Ad Ali Mwatsahu candidato del partito United Democratic Alliance (Uda) il 15 aprile hanno sparato 13 colpi di pistola mentre era alla guida della sua auto sulla strada tra Bamburi e Mombasa. Uno studio del National Crime Research Centre dimostra che i fattori che hanno contribuito ai crimini e ai reati elettorali sono stati principalmente di tipo etnico (27,6%), ma hanno inciso anche povertà (26,4%); disoccupazione giovanile (20,4%); analfabetismo nell’elettorato (18,4%); incitamento e uso di dichiarazioni offensive e dispregiative da parte dei politici (15,7%); corruzione in politica (12,6%); abuso di droghe e sostanze (11,2%).

LA MAGGIOR PARTE delle elezioni in Kenya negli ultimi 20 anni hanno comportato un certo livello di violenza e proteste che hanno visto indagati i principali leader dei partiti (poi prosciolti, spesso perché i testimoni hanno ritrattato o sono scomparsi). La situazione più grave si è verificata nelle elezioni del 2007 quando furono uccise 1.100 persone e oltre 600 mila furono costrette a lasciare le loro case, ma anche nel 2017 ci furono violente proteste per sospetti brogli che causarono la morte di oltre 100 persone.
Dal 2008 è stata istituita una Commissione nazionale per la coesione e l’integrazione (Ncic) «per promuovere l’identità e i valori nazionali, mitigare la concorrenza etno-politica e la violenza etnicamente motivata, eliminare la discriminazione su base etnica, razziale e religiosa e promuovere la riconciliazione e la guarigione nazionale».

La Commissione ha pubblicato un elenco di parole e frasi che ritiene possano fomentare l’odio etnico. Il teologo e pastore metodista della Chiesa del Kenya, Samuel Kobia, ha affermato: «sappiamo che la morte e la vita sono nel potere della lingua per questo abbiamo classificato i termini, che sono stati regolarmente utilizzati nel panorama politico del Kenya con l’intento di provocare violenza tra le comunità». Tuttavia, la Commissione non può agire legalmente in caso di violazioni può solo formulare raccomandazioni e inoltre, la lista delle parole a rischio è discutibile: è ad esempio, finita nella lista una canzone, Sipangwingwi (nessuno mi può dire cosa dire o cosa fare) di Exray Taniua featuring Trio Mio & Ssaru.

RECENTEMENTE LA NCIC ha convocato il senatore Franklin Linturi per spiegare il significato della parola madoadoa (macchie) da lui usata per riferirsi a persone indesiderate (dobbiamo rimuovere tutti i madoadoa) durante un comizio nella contea di Uasin Gishu, dove molte persone hanno perso la vita nelle violenze del 2007-2008. Infatti, madoadoa nel 2007 era riferita alle etnie minoritarie nella regione (kikuyu e kisii), accusate di accaparrarsi terre e di non tener conto dei desideri della comunità ospitante (Kalenjin).

 

Violenza post-elettorale a Kisumu, nel 2007 (Ap)

 

Anche Raila Odinga ha ripetuto più volte hatutaki madoadoa (non vogliamo colori macchiati, o mescolati) che può essere anche inteso come invito a non votare un partito al Senato e un altro a livello regionale.

MA QUELLO CHE PREOCCUPA realmente è il crescente utilizzo dei social media del ruolo cruciale che piattaforme come Twitter, Facebook e TikTok stanno assumendo sia per l’informazione che per la disinformazione e l’incitamento all’odio, ma non ci sono sufficienti investimenti da parte delle società per affrontare il problema: gli strumenti di machine learning non sono in grado di classificare e cancellare contenuti violenti e i partner in grado di operare il fact-checking non sono sufficienti.

Il Time ha recentemente riferito della presunta scarsa retribuzione e condizioni di lavoro dei moderatori dei contenuti di Facebook in Kenya. C’è poi quello che la scrittrice Nanjala Nyabola chiama «colonialismo digitale», quando «un’azienda britannica utilizza una piattaforma americana per influenzare il discorso politico in un’elezione in Kenya». Una questione non irrilevante in una Paese pieno di nativi digitali che si informano solo attraverso internet (il 60% della popolazione ha meno di 35 anni). A questo stanno venendo incontro diverse iniziative come il progetto Una hakika promosso per moderare la disinformazione.

Tuttavia, gli analisti keniani sono ottimisti sul fatto che non si ripeteranno le violenze che hanno caratterizzato le elezioni del 2007. Sono le settime elezioni generali dall’introduzione del multipartitismo nel 1992 e le coalizioni sono definite. Lo scontro principale è tra il candidato William Ruto (attuale vice presidente) della United Democratic Alliance sostenuto dall’Amani National Congress di Musalia Mudavadi , Ford-Kenya di Moses Wetangula e altri partiti minori che formano il Kenya Kwanza (Prima il Kenya) e Raila Odinga che corre per la quinta, e forse decisiva, volta dell’Orange Democratic Movement sostenuto dai partiti Wiper, Jubilee, Odm e Kanu uniti nella coalizione Azimio la Umoja (Più di tutto unito), ma soprattutto Raila Odinga ha il sostegno dell’attuale presidente, Uhuru Kenyatta.

A PARTIRE DAL 2018 c’è stato un avvicinamento tra i principali rivali della contesa politica keniana che rappresentano anche le due grandi dinastie del potere del Kenya fin dall’indipendenza: Kenyatta (Kikuyu) e Odinga (Luo). Finora non c’è stato nessun presidente Luo e l’appoggio delle potenti lobby kikuyu come la Mount Kenya Foundation potrebbe segnare una svolta. Ma non è automatico. Per i commentatori l’elettorato kikuyu si trova combattuto tra «il diavolo e gli abissi del mare e deve scegliere chi dovrebbe divorarlo».

Il 9 agosto è un giorno decisivo perché tutto il potere costituzionale viene stabilito dagli elettori: in una sola giornata vengono eletti presidente della Repubblica, membri della camera e del Senato, governatori di contea e membri delle 47 assemblee di contea. Si vince o si perde tutto e per 5 anni non ci sono possibilità di rivalsa. I comizi proseguono in un clima di grande euforia con migliaia di sostenitori che inondano le piazze, cori da stadio, balli e scambi di battute. Tutto sembra alle spalle: Covid, disoccupazione, siccità, corruzione, violenza, fame, ma poi si torna a casa come comparse di un momento invariato.