Scrivendo nel 1794 il celebre Viaggio intorno alla mia camera, l’ufficiale ventiseienne Xavier de Maistre inaugura una maniera nuova. Agli arresti domiciliari a Torino per quarantadue giorni dopo un duello d’onore, il fratello minore del più noto Joseph, che del libro sarà editore, aveva racchiuso in quarantadue capitoli, tanti quanti i giorni del confinamento, l’esplorazione, palmo a palmo, della sua stanza. Percorrendola in lungo e in largo, contando i passi per attraversarla in diagonale, de Maistre alterna monologhi a dialoghi quasi schizofrenici tra sé e sé, presenta mobili, richiama ricordi impalliditi, descrive la rosa secca trovata in un cassetto e ne fa pretesto per un contrasto tra un cavalier servente e la sua dama. Il Viaggio – fin dal titolo scoperta parodia del blasonato James Cook e del suo celebratissimo Diario di un viaggio intorno al mondo, uscito una ventina d’anni prima – introverte e addomestica il Viaggio sentimentale di Sterne, di cui de Maistre era stato avido lettore. In questa graziosa fantasia settecentesca, negli stessi anni in cui Alexander von Humboldt descriveva scoscesi passi montani e intransitabili giungle in Sudamerica, il nobiluomo savoiardo, alternando una delicata creaturalità a nostalgie di un Ancien Régime ormai cigolante, invita a guardare alle quattro mura domestiche con lo spirito del viaggiatore.  Da allora, i rifacimenti di questa perlustrazione a perimetro stretto ma potenzialmente sconfinata non si contano: dalla traduzione ottocentesca di Paolina Leopardi del Viaggio di de Maistre all’ottomana di Oblomov  ai molti viaggi intorno al camino, nei pressi della scrivania, da una stanza all’altra, fino ai novecenteschi elogi della pigrizia e alle celebrazioni di intimisti, perdigiorno e posapiano. Sulla stessa linea, con accenti che volutamente contaminano memorialistica, reportage, resoconto di viaggio, elzeviro, diario intimo e scrittura di finzione, si muove l’austriaco Karl-Markus Gauss, raffinato saggista – della stessa pasta di Benjamin e di Enzensberger – e romanziere il cui tono minore rinuncia di proposito alle orchestrazioni tonitruanti, all’affresco panottico, al gesto in grande stile per imboccare vie traverse, procedendo a zig-zag con un gusto della divagazione, a volte persino miniaturistico, che ha un illustre precedente in Jean Paul e che, più da vicino, non di rado è memore della scrittura insieme lieve e inafferrabile di  Robert Walser. La stessa estetica del privato e del domestico è presente nel Viaggio avventuroso intorno alla mia camera di Karl-Markus Gauss, perfettamente tradotto per Keller da Enrico Arosio, che restituisce tutto il nitore della lingua di partenza, pp. 237, € 18,00). Volutamente mimetico rispetto a de Maistre ma senza l’asfissia dell’epigono, Gauss prende lo spunto – ma più che di spunti, si tratta, in chiave poetologica, di vere e proprie occasioni – dagli oggetti che il suo luminoso appartamento appena fuori Salisburgo gli offre per squarciare la quotidianità verso luoghi e situazioni che assecondano il suo interesse, da tempo ben desto, per ciò che, culturalmente e etnologicamente, è minore, marginale, difforme, resistente. Dal suo appartamento a due piani, simile allo scafo rovesciato di una nave, si dipartono le direttrici di un’odissea intra moenia dove, con base ferma nella quotidianità, lo sguardo conduce verso le estreme provincie austro-ungariche, verso residui e reliquie dei fasti d’Impero e dei suoi più orientali irraggiamenti o verso altre regioni dalla densa stratigrafia culturale in cui, prima di diventare en vogue e di passare di bocca in bocca come un’insipida filastrocca, il multiculturalismo è di casa già da secoli e intride il territorio.

Il viaggio di Gauss porta a luoghi di frontiera e di confino, dove la grande storia si è raggrumata in vicende individuali, in singole ascese e sfortune, e dove il revenant di una scintillante Mitteleuropa danubiana si aggira stralunato, naufrago del tempo, nella realtà del giorno dopo. Ed è così che un tagliacarte d’acciaio, con l’aquila bicipite degli Asburgo sull’impugnatura, racconta la storia di un industriale moravo di successo cui si deve il famigerato brevetto dell’eternit; un baule da viaggio d’oltremare porta la memoria del suocero dodicenne, trasferitosi dal Sud Tirolo verso i territori del Reich in forza dell’Option, l’accordo – un trauma nella vita degli optanti – tra il Regno d’Italia e la Germania nazista per risolvere il contenzioso sull’Alto Adige. Ancora, sulle tracce della storia familiare, nel modellino di lancia fluviale è rappresa la storia della nonna e, insieme a lei, dei molti Svevi del Danubio, provenienti dalla Germania e dalla Boemia, stanziati nel Settecento nella pianura pannonica tra Serbia e Ungheria e, dopo la Seconda guerra mondiale, evacuati a forza verso la Germania. E ci sono poi le tazze souvenir, e le cartoline che – lungi dal sembrare a Gauss paccottiglia kitsch, figlia di un turismo di bassa lega – lo conducono da una liminalità all’altra, dai gagauzi di Moldavia ai cristiani assiri emigrati in Svezia ai Cimbri dell’altipiano di Asiago. Le pagine del Viaggio avventuroso non sono un ripiegamento nostalgico né una laudatio temporis acti, tantomeno un rivolo tardo di Biedermeier e del suo oleografico sentimentalismo: nelle sue cartografie del quotidiano, Gauss esprime un’estetica dell’oggettualità dove i vari pezzi di mondo vengono decontestualizzati per poi essere risemantizzati e, a mezza via tra epifania e Dinggedicht, gli consentono, ogni volta, di rifare il pensiero e il linguaggio a partire da zero.