Dall’agosto 1895 al settembre 1923, Freud trascorse numerosi periodi di vacanza in Italia, animato dalla ricerca di una bellezza ristoratrice e gravida di «slancio creativo», e anche – naturalmente – dalla sua inclinazione per le «perversioni psichiche».

Come scrisse a Fliess da Siena nel 1897, giunto alla meta agognata si augurava di sorbire «un sorso qua e là» un «punch con Lete». Stava in realtà citando una poesia di Heinrich Heine ispirata alla tragedia di Plutone e Proserpina («Oh gioia! Io qui nel Tartaro / Intanto fiaterò / E per scordar la moglie / Punch con Lete berrò») e così evocando la recente morte del padre, ma insieme anche l’autoanalisi a cui, in seguito al lutto, aveva iniziato a dedicarsi. Nell’immagine poetica convergono insomma la discesa agli inferi (che diventerà poi una metafora consueta dell’autoanalisi) e il sollievo dell’oblio.

Ma cosa aveva a che fare l’Italia con questa esperienza paradossale e dunque con le formulazioni più vertiginose della psicoanalisi? È la domanda che si pone Marina D’Angelo, intrecciando nel suo I viaggi di Freud in Italia Lettere e manoscritti inediti (Bollati Boringhieri, pp. 303, € 22,00) la biografia e l’opera del fondatore della psicoanalisi intorno ai preziosi manoscritti ritrovati nel 2009 da Gerhard Fichtner e Albrecht Hirschmüller presso la Manuscript Division della Library of Congress di Washington D.C.

Un grande contenitore diviso in dieci scomparti rinvenuto nella collezione dei Sigmund Freud Papers (sezione Family Papers) custodiva diversi taccuini di piccolo formato databili tra il 1901 e il 1916 nelle cui pagine si trovano, in mezzo a semplici rendiconti di spese, indirizzi o titoli di libri, anche annotazioni di diversa lunghezza, come osservazioni autoanalitiche o metapsicologiche, aforismi, abbozzi di teorie cliniche e soprattutto appunti di viaggio.

Proprio durante quei soggiorni tra Venezia, Milano, Roma e la Sicilia, a Napoli, Pompei e Orvieto sono stati ideati, tra gli altri, saggi come Il delirio e i sogni nella «Gradiva» di Wilhelm Jensen, Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci, L’uomo dei topi, Il Mosè di Michelangelo e si sono consumati episodi poi confluiti nell’Interpretazione dei sogni, nel Meccanismo psichico della dimenticanza o nella Psicopatologia della vita quotidiana.

Sono materiali autobiografici tanto più preziosi se si ricorda che Freud si era operato per la sistematica distruzione di manoscritti o documenti privati almeno fino al 1910, per «antipatia verso le reliquie personali» e nel tentativo di rendere il più possibile complicata la vita dei suoi biografi («Ognuno deve avere ragione delle proprie idee sullo ‘sviluppo dell’eroe’, io già gioisco dei loro errori», scriveva alla moglie Martha), o ancora, nel 1938, temendo le requisizioni della Gestapo.

Già responsabile della riproduzione fotografica degli ultimi tre taccuini (8, 9 e 10) in vista della loro trascrizione da parte di Gerhard Fichtner e Albrecht Hirschmüller, con cui collaborava, D’Angelo ha ora selezionato (e poi raccolto opportunamente in appendice) le pagine che riportano le note prese nei soggiorni in Italia e, leggendole in controluce a lettere e saggi non sempre tradotti, come anche a celebri studi critici o biografici, ha ricostruito una sorta di biografia intellettuale del Freud viaggiatore che, oltre a fare chiarezza su alcuni spostamenti rimasti a lungo incerti, ha l’originalità di mostrare quale portata abbia avuto l’Italia per la genesi delle sue opere e lo sviluppo della psicoanalisi.

Spesso, sono proprio le note prese durante le ore di ozio a trasformarsi in teoria. È nelle pause trascorse al giardino della Cocumella a Sorrento, di fronte allo spettacolo del Vesuvio fumante, che venne abbozzato il confronto con i caratteri delle malattie mentali: come la materia incandescente del vulcano nei suoi possibili stadi, anche i sintomi possono prendere la forma della rimozione – per l’isteria –, della formazione reattiva – per la nevrosi ossessiva – e, qualora il meccanismo di difesa non funzionasse, della irruzione nella coscienza – nel caso della paranoia.

Un’importanza particolare hanno i taccuini numerati come 6 e 9, il primo dei quali, acquistato a Firenze e in parte scritto a Roma, reca in copertina un motto già curiosamente analitico: «Ricordare è rivivere». Scopriamo così che, al di là della nota influenza di Pompei sulla formazione del modello archeologico della psiche, sarebbero le visite al Foro Romano e l’interesse suscitato dalle conversazioni con il direttore degli scavi Giacomo Boni a ispirare il famoso paragone tra le tracce di memoria del passato psichico e gli strati dei resti archeologici, e che durante lo stesso soggiorno romano Freud affrontò una depressione che lo avrebbe portato a sciogliere la Società psicologica del mercoledì («La crisi sembra essere stata superata, l’intenzione di Roma era di prendere coscienza di sé stesso, anche contro gli aiutanti e i giovani. Devo continuare a farlo da solo») in vista della fondazione della Società psicoanalitica di Vienna.

Ma sono le visite quotidiane a San Pietro in Vincoli a riservare le maggiori sorprese: nelle piccole pagine del taccuino 9 la posizione delle braccia del Mosè di Michelangelo viene minuziosamente studiata e disegnata, finché a poco a poco si rivela il «segreto delle tavole» in procinto di cadere e salvate dall’uomo in lotta con la propria passione, ma anche quello del turista geniale che nel gesto di quelle braccia si perdeva perché da tempo cercava lo stesso dominio di sé («Culmine della libertà oggi di essere a Roma e di avere concluso con Roma»).