Nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium, alla fine del concerto, quando si stanno ormai attenuando i trionfali applausi che il pubblico ha tributato a Kirill Petrenko per la sua indimenticabile interpretazione della Quinta Sinfonia di Anton Bruckner, gli ottoni della Gustav Mahler Jugendorchester in piedi e sparsi sul palco attaccano un motivo popolare spagnolo, e subito gli archi fanno bordone. Si riaccendono gli applausi. I giovanissimi, e bravissimi, ragazzi dell’orchestra ringraziano e piano piano il pubblico esce dalla sala. Non si poteva che festeggiare questa serata memorabile. In tournée per l’Italia, Petrenko e l’orchestra giovanile hanno offerto un’interpretazione che resterà di riferimento. La Quinta Sinfonia è tra le più ardue di Bruckner, la più granitica, chiusa in uno sperimentalismo architettonico che sembra proiettarsi secoli avanti: è del 1878 (ma richiese anni di elaborazione) e all’orecchio di oggi sembra prefigurare quale via debba intraprendere il compositore per confrontarsi con la fine di una tradizione e progettarne o proporne una nuova. L’ultima sinfonia di Brahms, quella che probabilmente conclude l’esperienza sinfonica classica e romantica, arriverà dopo sette anni.

LA SESTA SINFONIA di Ciaikovsij, Patetica, è addirittura del 1893, ma anch’essa guarda indietro. La novità, sconvolgente, della sinfonia bruckneriana, è che scavalca questa fine, preannuncia un nuovo modo di concepire la musica, prefigura un nuovo mondo sonoro. Abolito ogni accenno riconoscibile all’effusione melodica, i temi sono ridotti a minime cellule in sé nemmeno cantabili, l’armonia percorre binari sconosciuti, in quanto nessun percorso è quello tradizionale, niente conferma le attese dell’ascoltatore.

Lo sviluppo tematico, fulcro del sinfonismo da Haydn a Beethoven a Brahms (Schubert e Schumann sono casi a parte e riferimenti, se mai, di Bruckner) è qui abolito. Lo sostituisce la costruzione di un edificio contrappuntistico che potrebbe richiamare i procedimenti della messa fiamminga, Johannes Ockeghem, per esempio. Sta qui la lucidissima caratterizzazione interpretativa di Petrenko: in questa musica conta quasi solo la costruzione dell’architettura sonora, non già la riconoscibilità di un motivo, di un impasto armonico. Boulez, un secolo dopo, non farà di più. Un monito anche per i compositori di oggi: non serve guardare al passato, nemmeno alle avanguardie del passato, anche se bisogna tenere conto sia dell’una che dell’altra: serve guardare avanti, avere la forza, il nuovo, d’inventarlo.