A Doha, in Qatar, il fronte “repubblicano” e quello talebano continuano a discutere del codice di condotta e dell’agenda del negoziato intra-afghano, inaugurato formalmente il 12 settembre ma ancora nella fase preliminare. A Oslo, in Norvegia, si prepara invece la cerimonia del 9 ottobre per l’assegnazione del premio Nobel per la pace.

Tra le candidate c’è anche l’afghana Fawzia Koofi, 44 anni, originaria della provincia del Badakhshan, deputata, già vicepresidente del Parlamento, scampata poche settimane fa a un attentato. E una delle quattro donne che fanno parte del gruppo negoziale di 21 membri che dovrà negoziare con i Talebani.

La candidatura di Fawzia Koofi – i cui familiari in passato sono stati accusati di coinvolgimento nel traffico di droga e minerali preziosi, in particolare attraverso il poroso confine che passa per la provincia d’origine – riflette l’urgenza con cui la comunità internazionale invoca l’inizio dei colloqui veri e propri. A partire da un cessate il fuoco.

Per ora i gruppi di contatto non hanno risolto le differenze su regole e procedure con cui condurre il negoziato, ma le posizioni si avvicinano. I punti più controversi sono due: come interpretare la dottrina giuridica hanafita, una delle quattro dell’Islam sunnita, e quanto e come tener conto dell’accordo siglato lo scorso febbraio tra Stati uniti e Talebani, da cui il governo afghano era escluso.

Per avere indicazioni sul primo aspetto, oltre che per ottenere legittimazione nel negoziato, i Talebani sono andati a trovare nella sua casa di Doha Yusuf al-Qaradawi, 94enne portavoce della Unione internazionale degli studiosi islamici, divulgatore prolifico e figura autorevole dell’Islam politico.

Sul secondo aspetto, continuano a ritenere l’accordo con gli americani centrale. Posizione malvista dal fronte repubblicano, che ieri ha ricevuto la visita del presidente Ashraf Ghani, che a Doha ha incontrato anche l’emiro del Qatar, l’inviato del presidente Trump, Zalmay Khalilzad, il generale Scott Miller, a capo delle forze Nato e Usa in Afghanistan.

La visita di Ghani è significativa: il faticoso accordo post-elettorale raggiunto lo scorso maggio con lo sfidante Abdullah Abdullah assegnava a quest’ultimo la guida dell’Alto consiglio per la riconciliazione nazionale, l’organo di indirizzo della delegazione negoziale. Ma Ghani ha nominato al suo interno propri uomini e non intende cedere la partita ad Abdullah.

Qualcuno a Kabul sostiene che non abbia molto interesse nello stringere i tempi del negoziato con i Talebani. Preferirebbe aspettare i risultati elettorali negli Usa e sperare in un cambio di rotta, nel caso Joe Biden finisse alla Casa bianca. Per ora, continua a invocare il cessate il fuoco.

Così ha fatto il fidato ministro degli Esteri, Hanif Atmar, in visita a Doha con Ghani. Atmar ha chiesto «un urgente e immediato accordo sulla riduzione della violenza e un meccanismo di monitoraggio» per verificarne il rispetto. Già nei prossimi giorni si capirà se i Talebani sono disposti ad accogliere la richiesta, almeno in parte.