«Siamo pronti a difenderci e non abbiamo paura di verificare se questo decreto rispetta le convenzioni internazionali e la costituzione italiana», dice Juan Matías Gil con voce sicura. Risponde pochi minuti dopo che il Viminale ha assegnato alla Geo Barents il lontanissimo porto di Ancona. Ha 42 anni ed è cresciuto nel nord di Buenos Aires. Da novembre 2021 è capomissione di Medici Senza Frontiere. Da terra o in mare.

Di salvataggi nel Mediterraneo si era occupato anche in precedenza, dal 2015: sulla Dignity 1, l’Alan Kurdi e poi la ResQ. Prima ha lavorato per Msf in contesti ancora più difficili, tra la fame o in mezzo alle bombe: Siria, Iraq, Yemen, Congo, Repubblica Centrafricana, Colombia, Sud Sudan. Forse anche per questo le minacce del governo non hanno tanta presa.

Il Viminale vi dà il porto e voi lo rifiutate?

Lo rifiutiamo perché non è in linea con le convenzioni internazionali secondo cui deve essere assegnato «con la minima deviazione possibile» e «in un tempo ragionevole». Un porto a 1.500 km con le pessime condizioni meteo previste nelle prossime ore non è la soluzione migliore per i sopravvissuti che abbiamo a bordo.

Il ministero dell’Interno sostiene che con voi il criterio della «minima deviazione possibile» non vale perché le navi delle Ong non hanno una rotta predefinita.

La Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo (Sar) di Amburgo fa riferimento al tempo, dice «ragionevolmente praticabile». Questo viene interpretato come «il minore tempo possibile». Ovviamente se una barca viene dal sud del Paese e si manda a nord-est, a quattro giorni di distanza quando potrebbe sbarcare in uno solo o al massimo in uno e mezzo, si sta producendo un effetto contrario alla legge.

Il porto è lontano, ma arriva subito. Con la precedente ministra dell’Interno Luciana Lamorgese le Ong sono sbarcate anche a Salerno o Taranto e hanno ricevuto l’indicazione del luogo di sbarco dopo sette, otto, nove giorni di attesa in mare. Non era peggio?

Non era una situazione di rispetto delle regole neanche quella. Ma è inutile fare confronti o giustificare eccezioni con ciò che accadeva prima, lo si consideri meglio o peggio. Qui dobbiamo decidere: rispettiamo le leggi del mare oppure no? Ci interessiamo a dignità e salute delle persone oppure no?

Tra l’attesa davanti alle coste siciliane e una navigazione così lunga ci sono differenze?

Andare lontano ha in primis un impatto sui sopravvissuti. Ovviamente ha anche un grande costo economico e di tempo. Significa soprattutto svuotare la zona di ricerca e soccorso. Perché ciò che vuole fare questo decreto è allontanare le navi umanitarie senza pensare a nessun altro meccanismo sostitutivo. Se servono cinque giorni ad andare e cinque a tornare vuol dire che in quel periodo di tempo non ci sarà nessuno in grado di soccorrere le persone in pericolo.

Che succede se il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi non vi indica un porto più vicino?

Ci auguriamo lo faccia, pensando ai bisogni dei sopravvissuti ed evitando di fare politica sulla pelle di persone costrette a tentare la traversata perché non avevano canali sicuri e legali per arrivare in Europa.

Potrebbe non farlo.

Non possiamo assecondare sempre decisioni senza senso che mettono in pericolo le vite delle persone. Il governo dovrà rendere conto delle sue scelte.

Non temete che con il nuovo decreto vi possano sanzionare, economicamente e con il fermo della nave?

È possibile. Ma come sempre ci difenderemo facendo valere il diritto del mare. Non abbiamo paura di verificare se questo decreto e queste misure sono in linea con le convenzioni internazionali e la costituzione italiana.