Italo Calvino, in un profilo stilizzato, torna a guardare di sottecchi l’Avana nelle targhe poste in alcuni luoghi-simbolo della capitale cubana. L’immagine testimonia di un incontro postumo – parafrasando Il Visconte dimezzato – tra «La dos mitades de Calvino», la metà nota, quella di un grande intellettuale italiano, e l’altra, quasi sconosciuta, cubana.

ED È QUESTO RENCUENTRO, più che una rituale celebrazione del centenario della nascita, il senso della settimana dedicata a Calvino, che, appunto, il 15 ottobre 1923 vide la luce a Santiago de las Vegas, alla periferia sud occidentale dell’Avana, dove i genitori dirigevano la Estación experimental agronómica. È stata una Settimana costellata da molti appuntamenti culturali, organizzata dall’ambasciata italiana con la collaborazione dell’Arci e delle più prestigiose istituzioni culturali della capitale, l’Unione degli scrittori e artisti cubani (Uneac) e la Casa de las Americas.

L’incontro fisico con l’Avana vissuto dallo scrittore avvenne all’inizio del 1964. Calvino, infatti, accettò l’invito della Casa de las Americas di far parte della giuria per l’assegnazione del premio che la Casa dedicava all’opera di autori latinoamericani.
«Fu un incontro molto emotivo – ha affermato lo scrittore e poeta Miguel Barnet in una cerimonia organizzata nella sede condivisa tra la Fondazione Ortiz e la scuola di italiano Dante Alighieri, dove fino a novembre rimarrà allestita la mostra Calvino qui e altrove. Barnet resta un testimone unico di quei tempi. Calvino, ha raccontato, era interessato al paese poiché «aveva un’enorme curiosità che riguardava gli stili di vita e le diverse culture», ma anche per i ricordi condivisi con i genitori: la realtà cubana lo emozionava. A conferma di ciò, c’è la lettera che dall’Avana Italo inviò alla madre («Esta tarde fui a Santiago de las Vegas. Ha sido muy bello y conmovedor…»).

Barnet partecipò al matrimonio che Calvino volle celebrare proprio all’Avana con la sua compagna, l’argentina Esther Judith Singer (detta Chichita): «Camminammo per le strade della Habana vieja e in una notaria di calle Obisbo vi furono le nozze, poi festeggiate nel bar di un hotel».

LA DOCENTE dell’Università dell’Avana Mayerín Bello ha presentato nella sede della Casa de las Americas il libro Italo Calvino y Latino-America, da lei curato assieme alla collega italiana (università La Sapienza di Roma) Laura di Nicola. Quella visita e poi la rivoluzione di Cuba ebbero un impatto che proseguì negli anni, una volta che Calvino ritornò in Italia. «Lo dimostra la sua attività, presso Einaudi, di pubblicazione e presentazione di opere di autori cubani (Barnet, Fuentes e Casey) e latino-americani. Per lungo tempo – ha spiegato Bello – Calvino rielaborò la sua esperienza cubana. Fino al distacco avvenuto nel 1971 con il cosiddetto ’caso Padilla’», lo scrittore e poeta che fu imprigionato con l’accusa di essere un «controrivoluzionario» e poi liberato dopo una drammatica autocritica. Che fu giudicata una sorta di processo staliniano da alcuni autori latinoamericani e europei, tra i quali Calvino. «Anche dopo questo distacco, però, non assunse mai posizioni pubbliche contrarie alla rivoluzione cubana», ha aggiunto la studiosa.
E qual è stata l’influenza di Calvino sulla letteratura di Cuba? «Limitata. A causa dell’embargo imposto dagli Stati uniti, Cuba si trova da molti anni in una posizione isolata rispetto al mercato internazionale dei libri e con una capacità ridotta di produzione editoriale».

A QUESTA CARENZA ha cercato di rimediare con un duraturo impegno l’Arci che dal 1996, assieme all’Uneac, ha istituito nell’isola il premio Calvino, assegnato ogni due anni a uno scrittore cubano la cui opera viene pubblicata a cura dell’Associazione italiana. In occasione dell’annuncio del premio, è stato presentato anche un cofanetto contenente, tradotta in spagnolo, una trilogia: il Barone rampante, Il Visconte dimezzato e il Cavaliere inesistente. Stampata in Italia a cura dell’Arci, «sarà consegnata gratuitamente alle biblioteche e istituzioni culturali di Cuba».