Nonostante la condanna subita da Ita per discriminazione nei confronti di lavoratrici in gravidanza, il licenziamento di 543 lavoratori del call center, ancora 7.800 esuberi ex Alitalia, il mancato rispetto della mozione del parlamento sulla presentazione di offerte per handling e manutenzione e – omettendo molto altro – la richiesta bipartisan di sfiduciarlo; il ministro Daniele Franco conferma la fiducia al presidente Alfredo Altavilla.

L’ORA E MEZZA DI AUDIZIONE del titolare del Mef – azionista unico di Ita airways – in commissione Trasporti alla Camera è stata a tratti imbarazzante. Mettendo da parte la gaffe geografica sui lavoratori di Rende (città che per il ministro è in Sicilia), Franco è stato un muro di gomma su tutte le questioni più delicate a partire dal dramma dei 543 operatori del customare care, in gran parte di Palermo, che da fine maggio saranno licenziati. «Si tratta di una questione molto complicata», ha esordito il ministro, coprendo in toto la versione data il giorno prima sempre in commissione dal presidente Altavilla. Poi ha spiegato la priorità del governo: «Il primo obiettivo è che Ita non torni a dover farsi carico di costi eccessivi». Una frase che spiega meglio di mille decreti qual è stata la ratio del decollo di Ita: tagliare il costo del lavoro e i lavoratori in qualsiasi ramo dell’ex compagnia di bandiera. Solo come secondo obiettivo Franco, pressato dalle domande degli esponenti di maggioranza Pd (Gariglio e Bossio) e M5s (Cantone) e da quelle di Stefano Fassina e Fabio Rampelli, ha dovuto includere anche la speranza che «il call center torni a operare» ma grazie a «soluzioni di altro tipo da individuare lavorando assieme al ministero del Lavoro», luogo in cui Altavilla ha rifiutato di presentarsi per discutere la procedura di licenziamento aperta da Covisian, società che aveva vinto la gara al massimo ribasso con condizioni capestro imposte da Ita. Dunque niente «clausola sociale» – la norma di legge che tutela i lavoratori in caso di cambio di appalto – nonostante la «precisazione» della stessa Ita dell’agosto scorso. Solo l’invito ad Altavilla «a partecipare a un incontro con Covisian». Un tavolo che la Slc Cgil chiede sia «convocato ad horas», bollando come «inaccettabili» le dichiarazioni di Altavilla sulla «onerosità della clausola sociale».

SULL’UOMO CHE HA IMPOSTO il modello Fca a un’azienda a intero capitale pubblico gli strali dei deputati erano stati continui: perfino Lega e Forza Italia avevano criticato la costosa nomina di advisor per la privatizzazione che hanno portato alle dimissioni di sei componenti del cda di Ita. Ma anche in questo caso Franco ha rimbalzato le critiche glissando completamente sul danno erariale – «È prassi che l’azienda possa avere advisor, a decidere comunque sulla privatizzazione saranno quelli del Mef che seguiamo in prima persona» – e difendendo tutti i comportamenti di Altavilla: «Gli organi sociali di Ita hanno esaminato atti e comportamenti del presidente e hanno concluso che non sussistono elementi di illegittimità». Per il presidente di Ita solo un buffetto: «È opportuno richiamare tutti a mantenere sempre un profilo istituzionale, comportamenti improntati alla sobrietà: questo è un bene anche per la gestione aziendale oltre che sotto un profilo etico».

QUANTO ALLA PRIVATIZZAZIONE di Ita – che Franco chiama «dismissione» omettendo la dizione «delle quote azionarie pubbliche» – il ministro punta a tempi strettissimi: entro fine giugno. Ha optato per «la trattativa privata» e entro il 24 maggio sono attese le proposte vincolanti dei tre soggetti che hanno manifestato interesse: i grandi favoriti Msc – Lufthansa; l’alternativa Certares con Air France e Delta e gli outsider di Indigo Partners, proprietari di tante compagnie low cost a partire da Wizz Air.

ALTAVILLA (E RAMPELLI «in nome dell’italianità») tifano la famiglia Aponte, proprietaria di Msc che rischia però di essere una semplice prestanome per un’operazione facilmente prevedibile da anni: Ita diventerebbe una piccola compagnia regionale del gigante tedesco Lufthansa di cui riempirebbe i profittevoli voli a lungo raggio. Completando la «dismissione» dell’ex Alitalia e lasciando per strada almeno 5 mila lavoratori, già senza ammortizzatori da fine 2023.