A 24 o 48 ore (non è ancora chiara la tempistica) dal nuovo annuncio del presidente statunitense Trump sul destino dell’accordo sul nucleare iraniano, il ministro dell’economia italiano Padoan celebrava con entusiasmo un’intesa multimiliardaria con Teheran: ieri l’istituzione finanziaria italiana Invitalia Global Investment ha siglato un accordo quadro da cinque miliardi di euro con due banche iraniane, la Bank of Industry e la Middle East Bank.

L’intesa fissa i termini di futuri singoli contratti di finanziamento, ovvero fondi per progetti da realizzare in Iran da imprese locali e italiane nei settori petrolifero, chimico, metallurgico, delle infrastrutture e le costruzioni. Un accordo enorme che però richiede un requisito fondamentale: neutralizzare la minaccia trumpiana.

L’ultimo intervento della Casa bianca risale al 13 ottobre: Trump non certificò l’accordo tra Iran e 5+1 rinviando tutto al Congresso. Ora, a 90 giorni di distanza, si ripresenta l’identica deadline.

Fonti dell’amministrazione Usa sminuiscono le mire del presidente che sarebbe propenso a lasciare tutto com’è: non uscirà dall’accordo ma non lo certificherà, ovvero prolungherà ancora le sanzioni esistenti.

Una decisione a metà, complice lo scudo europeo e russo: nessuno intende tornare indietro, accantonare un’intesa storica soprattutto alla luce del rispetto da parte di Teheran dei termini previsti due anni e mezzo fa. E soprattutto alla luce degli accordi economici pendenti, miliardi di euro di intese firmate da Stati e imprese e lasciati a decantare in attesa che le sanzioni ancora in essere vengano definitivamente abolite.

Lo stallo impedisce al presidente Rouhani di realizzare le sue promesse di redistribuzione delle ricchezze e aumento dei posti di lavoro. Stonano, dunque, le parole che Trump ha dedicato via Twitter agli iraniani scesi in piazza a cavallo del Capodanno: un «vi saremo vicini» vuoto, visto il contemporaneo mantenimento del paese nel guado dell’isolamento.

Ieri il ministro degli esteri iraniano Zarif era a Bruxelles per un incontro con l’Alto rappresentante Ue agli affari esteri Mogherini e i rappresentanti di Gran Bretagna, Francia e Germania.

Il coro è unanime: l’Irandeal non si tocca, funziona e, parola di Mogherini, «sta realizzando il principale obiettivo, mantenere il controllo sul programma nucleare». Per questo, aggiunge, la Ue si impegna ad assicurare che «l’eliminazione delle sanzioni abbia un impatto positivo su commercio e relazioni economiche con l’Iran».

Sulla stessa linea il ministro degli esteri francese Le Drian («Non c’è ragione per una rottura: non si possono sollevare dubbi sul rispetto da parte iraniana»), del britannico Johnson («Non mi pare che ad oggi qualcuno abbia tirato fuori un’alternativa migliore») e del tedesco Gabriel («Vogliamo proteggere il Piano d’azione congiunto globale da ogni possibile decisione che possa minarlo, da qualsiasi parte essa provenga»).

E mentre la Russia si aggiunge alla linea di difesa globale dell’accordo, Zarif ribadisce il freno messo al programma del nucleare civile. Ma Teheran non è paese abituato a chiudersi a riccio e va al contrattacco: se Trump straccia l’Irandeal, il processo riprenderà. L’Organizzazione per l’energia atomica iraniana (Aeoi) fa sapere che il paese è in grado di «accelerare» l’attività di arricchimento dell’uranio in ogni momento.

Una mossa in cantiere che l’Aeoi ha prospettato due giorni fa all’Agenzia Internazionale per l’energia atomica nel caso di violazione Usa dell’intesa e di un nuovo isolamento di Teheran.