È in distribuzione il nuovo numero di Infinitimondi Bimestrale di pensieri di libertà, il 17/2021. La rivista edita a Napoli ha come argomento monografico del numero l’analisi dell’Enciclica Fratelli Tutti. Roberta Calbi ricostruisce poi le insorgenze critiche che in settori dello stesso mondo cattolico si sono levate in polemica con il messaggio di Francesco: ad ulteriore testimonianza della sua forza e delle resistenze che incontra.

Completano il numero tra gli altri temi, un’ampia intervista a Rosario Rappa, dirigente della FIOM, sulla vertenza Whirlpool che assume sempre più una valenza emblematica della capacità non solo di una comunità di lavoratori ma di un Paese e delle sue istituzioni di non soccombere di fronte ai diktat di una grande multinazionale ,infine,  per la sezione 100 anni del Pci (le iniziative complete  sul centenario si possono seguire dal sito che la rivista ha promosso: www.centoannipci.it), insieme ad una riflessione di Massimiliano Amato, un originale contributo di Alessandro Genovesi ,Segretario generale della Fillea CGIL, sul valore della capacità di rappresentanza del mondo del lavoro per qualsiasi forza che voglia dirsi di sinistra.

Tutte le informazioni su www.infinitimondi.eu e scrivendo a infinitimondirivista@gmail.com.

Di seguito le anticipazioni degli interventi di Luciana Castellina e Alex Zanotelli.

 

Luciana Castellina

Io appartengo a una generazione comunista abituata ad affrontare le grandi questioni storiche, perché così ci aveva educato il PCI. E fra queste, in particolare – per il rilievo che aveva sullo stesso terreno politico della nostra iniziativa pratica – la questione cattolica: un problema centrale, ci aveva fatto capire Gramsci, e con cui molto aveva dovuto ragionare Togliatti nel definire la sua “via italiana al socialismo”. Ed è proprio fra il finire degli anni 50 e l’inizio dei ’60, che, con un altro fantastico Papa, Giovanni XXIII, e la radicale svolta impressa al cattolicesimo dal suo Concilio Vaticano II, cominciammo anche a leggere le Encicliche; e persino a seguire una rivistina chiamata Concilium che ci offriva il meglio del pensiero dei teologi di tutto il mondo.

Ed è quello il periodo, infatti, che, anche per la spinta portata nel partito da molti giovani credenti entrati nel PCI, che nelle Tesi per il IX Congresso fu inserito uno storico capoverso in cui si riconosceva che “una sofferta coscienza religiosa” poteva rappresentare un “contributo alla battaglia anticapitalista”. Non si trattava più, insomma, soltanto di una vicinanza sociale con le masse cattoliche per lo più contadine, alleato potenzialmente assai più scuro che non i ceti medi laico-liberali, ma di una consonanza con la loro religione .

Questa lunga premessa per dire che ero da tempo preparata ad accogliere con interesse le parole di un papa. E però non mi sarei mai aspettata che da un signore pur sempre vestito con quegli assurdi paramenti colorati sarebbero venute parole e concetti a me così prossimi come quelli che in questi ultimi anni ho visto in bocca a Bergoglio. Concetti e parole, ho detto, perché contano certamente soprattutto i primi, ma è altra cosa se per esprimerli si usano parole come queste, dette per spiegare cosa vuol dire accostarsi al “vicino diverso”: occorre, dice Bergoglio, “un dialogo paziente e fiducioso”, un’esortazione che  molto brevemente prende in conto che siamo esseri umani pieni di difetti – perché è così vero che ci spazientiamo quando abbiamo a che fare con qualcuno che non ti capisce subito, perchè à abituato ad altri valori e comportamenti; e però tu devi invece avere fiducia, vale a dire accettare un tempo più lungo per capirlo, ma poi lo capirai. O, ancora, la “libertà non è il diritto ad averla”, una sentenza semplice e straordinaria per denunciare l’ipocrisia su cui si fonda tuttol’Occidente.

Parlando recentemente dei discorsi di papa Feancesco,Niki Vendola, cresciuto allievo di don Tonino Bello, il grande vescovo di Molfetta, dice che papa Bergoglio gli sommiglia perchè ambedue “hanno cura delle parole”; e aggiunge: “perché sono le parole che costruiscono le relazioni del mondo”.Potrebbe esser presa per un’ovvietà, e invece lo è tanto poco che da quando ho letto quel passaggio indago quello cui rivolgo la parola, e ognuno mi  appare più persona, il nostro scambio ha preso il peso di una relazione che se non ci fosse non ci sarebbe neppure l’umanità.

Francesco I nello storico discorso da piazza San Pietro vuota durante il primo lockdown. @Lapresse

 

Debbo dire che per via delle Encicliche recenti ho cominciato ad apprezzarne una già al tempo di papa Ratzinger che pure, quando fu nominato, ci era apparso così lontano, tant’è vero che, per sottolinearne l‘estraneità, il manifesto intitolò “il pastore tedesco”. Fu per caso che scoprii che era un umano ironico e spregiudicato. È accaduto perché dovevo scrivere una delle “dieci lezioni sull’amore”, un libro collettivo edito da Nottetempo, che poi recitammo addirittura in teatro, prima a Roma e poi a Milano ( fra noi anche una eccezionale Franca Valeri): ad ognuno era stata affidata una parola attinente a questo sentimento: gelosia, tradimento, passione, ecc. A me era toccata proprio quest’ultima, passione.

Cercando ispirazione nella navigazione in rete mi imbattei così nella parola “amore” riferita a una recentissima encliclica di Ratzinger, che proprio questa parola aveva come titolo. Vi scoprii una assai interessante disquisizione sull’eros (non sto a raccontarvela perché è molto lunga) che contiene la smentita che la Chiesa l’abbia condannato, giacché l’amore fra uomo e donna, archetipo per eccellenza di questo sentimento, si fonda  sull’idea che corpo ed anima concorrano inscindibilmente; e che, anzi, l’umano sia tale solo se i due aspetti sono compresenti. E poi Ratzinger diventa addirittura spiritoso e ironizza sulla vulgata che vorrebbe i cristiani ascetici, l’epicureo Ghassnedi che incontra Cartesio e gli dice “ciao anima” e questi gli risponde “ciao corpo”.

Non ho mai più approfondito il pensiero del papa tedesco, ma quando ho recentemente visto il film “I due papi” ho capito che Ratzinger non era affatto estraneo alla scelta del suo successore: un regalo fantastico. Diffidavo, all’inizio, di questo nuovo papa  argentino. Per colpa dei miei amici di sinistra di quel paese. Temevano fosse stato scelto per imbrogliare le carte e affossare la Teologia della Liberazione dell’ala rivoluzionaria della Chiesa latinoamericana, con la quale Bergoglio non aveva effettivamente mai avuto rapporto. Fui subito rassicurata da Adolfo Perez d’Esquivel, premio Nobel per la pace e amico diBergoglio, con il quale avevo un lungo rapporto di amicizia e collaborazione essendo lui stato presidente e io la sua vice nella Lega per i diritti dei popoli, uno degli organismi della“triade”fondata da Lelio Basso.Avevo piena fiducia in lui e gli credetti, in seguito non ebbi che esaltanti conferme.

La prima fu la lettura dei suoi discorsi ai movimenti popolari, radunati quasi ogni anno: quasi gli stessi con i quali noi ci eravamo incontrati a Porto Alegre, all’epoca dei Forum sociali mondiali. Il più importante fra questi i Sem terra, con il loro capo, Joao Pedro Stedile. Mi colpì in particolare l’ultimo, pronunciato all’assemblea tenuta a Roma, in cui il papa disse una cosa che rappresenta un salto qualitativo rispetto a quanto detto precedentemente  da ogni suo pur avanzatissimo predecessore. Parlando dei poveri, osservò che il problema non era fare una politica “per” i poveri, ma “dei”poveri. Affermava cioè un concetto politico molto avanzato,e fra quelli oggi più dimenticati: non basta la carità, i poveri devono acquisire soggettività, diventare protagonisti di una loro politica. Poco dopo, a scanso di equivoci, aveva ripetuto il concetto in forma più diretta dicendo: ragazzi,la carità è una bellisima cosa ,ma ci vuole la politica! (Una frase che da allora ripeto sempre perché negli ultimi tempi c’è stato anche da noi un grande slancio solidaristico e un parallelo distacco, se non rifiuto, della politica).

Ed è proprio in questa sua ultima Enciclica,”Fratelli tutti”, che Francesco prende di petto la politica in forma diretta; e, in un modo, che a me non credente, e persino comunista, me lo fa sentire davvero fratello. Perchè con acutezza avverte che  “il modo migliore per dominare è creare sfiducia”. È un modo straordinario di dire quello  che nel nostro gergo “di globalizzati ma non vicini” traduciamo con TINA, il famoso “there is no alternative“, il motto micidiale, perché paralizzante, usato dai potenti per scoraggiare ogni  rivolta.

È in effetti papa Francesco che ha riportato all’attenzione ,in questo nostro  così’ desolante tempo di  oscuramento del  suo ruolo ,la politica intesa come fare dei soggetti che ne hanno più bisogno. Attento a condannare con decisione la sua deriva populista, contro cui mette subito in guardia, innanzitutto – scrive – non solo perché passivizza il popolo, ma “perché strumentalizza la cultura del popolo inducendola a porsi al servizio della propria permanenza al potere”.

Se in “Laudato sì” è fortissima la denuncia contro il dissesto della terra che, senza giri di parole, il papa imputa al dominio del mercato, al profitto, in “Fratelli tutti” insiste sempre più sulla soggettivazione degli sfruttati: ”Non dobbiamo aspettare tutto da coloro che ci governano – scrive –sarebbe infantile. Godiamo di uno spazio di corresponsabilità capace di avviare e generare nuovi processi e trasformazione. Dobbiamo essere parte attiva della rivitalizzazione e nel sostegno della società ferita. È possibile cominciare dal basso e caso per caso lottare per ciò che è concreto e locale”.

E però, ben più avvertito di tanti nostri compagni sedotti dal comunitarismo al punto di denunciare non solo ogni sovranità più estesa del Comune, non solo l’Europa ma finanche lo stato nazionale subito aggiunge: e però ”attenti al locale, potrebbe farci cadere nella meschinità”.

“Fra localizzazione e globalizzazione deve esserci sempre una tensione, si tratta di due poli inesorabili”. Perché “bisogna farsi interpellare dall’altrove”, e del resto, oggi “nessuno stato nazionale sarebbe in grado di provvedere a sé”. E coerentemente con questo richiamo al mondo, contro il revival delle chiusure comunitarie, se la prende giustamente contro l’esaltazione delle differenze culturali,un diritto di ciascuno reclamare la propria, ma non per chiudervisi dentro, perché, al contrario, bisogna cercare l’innesto, la contaminazione: le culture non sono come le piante che in nome della biodiversità vanno preservate come sono, debbono confrontarsi positivamente, perché quella dell’altro – come diceva il grande intellettuale palestinese Edward Said – “è una risorsa critica di se stesso”, e senza questo esercizio perderebbero la loro funzione antropologica. La sua conclusione è fondamentale: l’universalismo non è un male in sé, dobbiamo anzi lottare per costruirlo, perché oggi non c’è, quello che viene spacciato per tale è solo quello definito dall’”occidente”, che forgia arbitrariamente concetti e valori, grazie al monopolio della comunicazione.

Io non so dire oggi cosa potrà produrre la predicazione di Papa Francesco nella storia terrena, la sola che io conosca. Credo che il suo evangelio sia una fortissima sollecitazione a riprendere il coraggio di tornare ad osare immaginare l’alternativa, a riaprire l’orizzonte del possibile. C’è il rischio che la lotta di classe, il conflitto, che nella nostra cultura abbiamo considerato giustamente motore della storia, vengano affogati in un amore disarmato e disarmante? Non lo credo. Conflitto non è odio neppure per noi, e la lotta di classe è essenziale per debellare l’arrogante primato del “terribile diritto di proprietà” che papa Francesco considera “ diritto quasi secondario”, quasi un furto, come diceva Prudhom, per chi crede come lui che i beni della terra siano comuni, e l’eventuale elemosina una restituzione.

”Non bisogna tranquillizzare i poveri – scrive nel finale di “Fratelli tutti” – con strategie di contenimento che rendono o poveri addomesticati e inoffensivi”. Sono parole che danno indicazioni non lontane dalle nostre. Se oggi è possibile trovare una tale consonanza con il capo supremo di una Chiesa che per secoli ha preso le parti dei potenti, è perché il mondo è diventato così ingiusto e diseguale da aver scosso anche il Vaticano; e a me piace pensare di avere un Pontefice che “lotta assieme a noi”.

 

 

Alex Zanotelli

Ritengo importante ritornare sull’ultima enciclica di Papa Francesco, Fratelli Tutti, perché rischia di essere dimenticata. Invece questo è un testo fondamentale per superare questo momento epocale in cui è in ballo il futuro dell’umanità e del Pianeta. È in ballo ormai la sopravvivenza di Homo sapiens, che è diventato Homo demens, per cui il Pianeta non ci sopporta più.

Papa Francesco analizza nel primo capitolo “Le ombre di un mondo chiuso”. Parla di “guerre, attentati, persecuzioni per motivi razziali, religiosi e tanti soprusi contro la dignità umana” (25). Non parla tanto della crisi ecologica, tema affrontato nella Laudato Si’. Sottolinea invece molto questo nostro mondo che si chiude a riccio. “Siamo più soli che mai in questo mondo massificato che privilegia gli interessi individuali e indebolisce la dimensione comunitaria dell’esistenza. Aumentano piuttosto i mercati, dove le persone svolgono il ruolo di consumatori e spettatori.”(12)

Ma per questo aumenta sempre più “la tentazione di fare una cultura dei muri, di alzare i muri, muri nel cuore, muri nella terra per impedire questo incontro con altre culture,con altra gente.”(27) Questo sottende una chiara ideologia “Il ‘si salvi chi può’ si tradurrà rapidamente nel ‘tutti contro tutti’ e questo sarà peggio di una pandemia.”(36) E il risultato di tutto questo si può vedere oggi nel fenomeno migratorio.”I fenomeni migratori suscitano allarme e paure, spesso fomentate e sfruttate a fini politici.Si diffonde così una mentalità xenofoba, di chiusura e di ripiegamento su se stessi.”(39) E purtroppo questo si diffonde anche nelle chiese.

“È inaccettabile che i cristiani condividano questa mentalità e questi atteggiamenti, facendo a volte prevalere certe preferenze politiche piuttosto che  profonde convinzioni della propria fede:l’inalienabile dignità di ogni persona umana al di là dell’origine, del colore o della religione, e la legge suprema dell’amore fraterno.”(39) Sono solo alcuni aspetti della profonda analisi che Papa Francesco fa del mondo odierno. È chiaro che ci troviamo davanti a un’umanità ferita. Il Papa legge questa situazione dell’umanità ferita alla luce di un’icona biblica: la parabola del Samaritano, un uomo si commuove al vedere un uomo ferito dai briganti, si prende cura di lui e lo porta in un albergo, mentre un sacerdote e un levita passano al largo e non si fermano.

“Se estendiamo lo sguardo alla totalità della nostra storia e al mondo nel suo insieme, tutti siamo o siamo stati come questi personaggi: tutti abbiamo qualcosa dell’uomo ferito, qualcosa dei briganti, qualcosa di quelli che passano a distanza e qualcosa del buon samaritano.”(69) In poche parole davanti all’uomo ferito di oggi, ci sono per tutti noi solo quattro possibilità: abbiamo qualcosa dell’uomo ferito o qualcosa dei briganti, o qualcosa di coloro che passano a distanza senza fermarsi e dare una mano o qualcosa del buon samaritano. Noi occidentali dovremmo riconoscerci nei briganti e negli indifferenti davanti al dolore del mondo. Ma non riusciamo ad ammettere questo.Anzi spesso pensiamo di essere i buoni samaritani di turno.

Ma la realtà è un’altra, almeno davanti all’immenso grido degli impoveriti che sale fino a noi. Certo anche fra noi occidentali ci sono tante persone buone che si commuovono e danno una mano a chi soffre. Purtroppo spesso questa rimane una carità individuale, ma manca quella ‘carità politica’, come la chiama Papa Francesco. “È carità stare vicino a una persona che soffre, ed è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona , per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza.”(186)

Papa Francesco con i rappresentanti delle comunità indigene della Colombia. @Ap

 

È facile per noi fare la carità a chi soffre la fame, ma troviamo difficile impegnarci a cambiare le strutture che producono la fame. Eppure abbiamo davanti a noi strutture economiche-finanziarie, militarizzate che uccidono per fame, guerra, e avvelenano l’ambiente entro cui viviamo. E non ce ne accorgiamo neanche. Noi infatti facciamo parte di un sistema economico-finanziario che permette al 10% della popolazione di consumare , a grande velocità, il 90% dei beni che produciamo. Duemila super-ricchi detengono una ricchezza superiore a quella posseduta da 4,5 miliardi di esseri umani.

E 3,8 miliardi di persone devono accontentarsi dell’1% della ricchezza mondiale. Questo vuol dire miseria, fame, morte per miliardi di persone. Infatti due miliardi soffrono per insicurezza alimentare, mentre settecento milioni soffrono la fame. E uccidono per fame almeno venti milioni di persone, mentre i paesi ricchi buttano via un miliardo e quattrocento milioni di tonnellate di cibo buono. Tutto questo produce milioni e milioni di migranti e rifugiati che il mondo ricco non vuole accogliere ( vedi Europa,USA, Australia). E per difendersi dagli impoveriti, questo Sistema deve armarsi fino ai denti. Lo scorso anno abbiamo speso a livello mondiale 1.917 miliardi di dollari al minuto. E l’Italia ha investito in armi 27 miliardi di dollari pari a 70 milioni di dollari al giorno. Senza parlare delle armi che produciamo e vendiamo. Tutte queste armi servono a fare guerre da cui milioni di persone sono costrette a fuggire(basti pensare alle guerre in Iraq, Siria, Afghanistan).

E tutto questo sistema economico-finanziario-militarizzato sta pesando enormemente sull’eco-sistema provocando la grave crisi ambientale che stiamo affrontando. Questo Sistema infatti produce energia rilasciando carbone e petrolio che emette in atmosfera miliardi di tonnellate di anidride carbonica creando l’effetto serra. Gli scienziati ci danno dieci anni per salvarci. Da questa crisi ambientale milioni di persone fuggono verso luoghi più abitabili che però non li ospita.

È il Sistema che soffoca sia i poveri che il Pianeta e ambedue gridano il loro dolore. Davanti a questa realtà noi dobbiamo riconoscerci prima di tutto nella figura dei briganti perché siamo noi ricchi responsabili per i milioni di malcapitati della storia e per la distruzione del Pianeta. (Non possiamo dimenticare che l’1% della popolazione mondiale è responsabile del 50% delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera che uccidono otto milioni di persone ogni anno). Noi(i ricchi) possiamo e dobbiamo anche riconoscerci nel prete e nel levita che passano a distanza dall’uomo mezzo morto e non fanno nulla.

È mai possibile che noi benestanti non ci commuoviamo, come ha fatto il Buon Samaritano, davanti alla sofferenza e morte di milioni e milioni di persone e anche del male che facciamo al Pianeta? Papa Francesco nella sua omelia a Lampedusa ci ha chiesto:”Avete mai pianto, quando avete visto un barcone affondare?” Solo allora ci faremo veramente carico dell’enorme e atroce dolore di questi impoveriti in fuga e daremo loro una mano come ha fatto il ‘Cattivo’ Samaritano(per gli Ebrei i Samaritani erano per definizione cattivi). E non basta-insiste Papa Francesco-con il nostro ‘amore individuale’, ma anche con il nostro amore politico.

È questa la rivoluzione culturale che Papa Francesco chiede a tutti gli uomini e donne, di qualsiasi ideologia e fede siano: passare da una “società di soci “ a una “comunità di fratelli”. Fratelli tutti è “un’enciclica sull’amore-commenta Raniero La Valle – perché passare da soci a figli vuol dire passare dalla ricerca dell’utile all’amore senza ragione”. Purtroppo le nostre società sono diventate un modo di produzione: il modo di produzione capitalistico. In questo Sistema noi veniamo usati, finchè serviamo e poi scartati. Quello che Papa Francesco chiede all’umanità è una rivoluzione culturale : cambiare il paradigma dell’umanità  diventando una comunità di fratelli.

È il sogno che tutti possano sedersi alla comune mensa in pari dignità e in profondorispetto nelle differenze(anzi trovandosi ricchi delle loro differenze!) e condividendo i beni della Terra, nostra casa comune. L’attuale globalizzazione è la negazione di questa visione “Se una globalizzazione pretende di rendere tutti uguali – afferma Papa Francesco – come se fosse una sfera, questa globalizzazione distrugge la peculiarità di ciascuna persona e ciascun popolo. Questo falso sogno universalistico finisce per privare il mondo della varietà dei suoi colori, della sua bellezza e in definitiva della sua umanità.”(100)

Questa globalizzazione è oggi più liberista che mai. Già nell’enciclica Evangelii Gaudium Francesco è stato durissimo: “Questa economia uccide.” E in Fratelli tutti è ancora più duro con questo Sistema economico-finanziario”. Il mercato da solo non risolve tutto, benchè a volte vogliono farci credere questo dogma di fede neoliberale. Si tratta di un pensiero povero, ripetitivo che propone sempre le stesse ricette di fronte a qualunque sfida si presenti…La fine della storia non è stata tale e le ricette dogmatiche della teoria economica imperante hanno dimostrato di non essere infallibili.

La fragilità dei sistemi mondiali di fronte alla pandemia ha evidenziato che non tutto si risolve con la libertà di mercato e che, oltre a riabilitare una politica sana, non sottomessa al dettato della finanza, dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno.”(168) E in un altro passaggio : “Finchè il nostro sistema economico-sociale produrrà ancora una vittima e ci sarà una sola persona scartata , con ci potrà essere la festa della fraternità universale.”(110). Per realizzare la grande festa della fraternità universale,Francesco insiste che tutta l’umanità deve abbandonare la società di soci per diventare una comunità di fratelli. E per arrivare a questo Papa Francesco dice che dobbiamo praticare la carità non solo individuale, ma soprattutto quella politica. L’amore infatti non si esprime solo nei piccoli gesti di amore, “ma anche nelle macro-relazioni:rapporti sociali, economici, politici”(181).

Francesco esalta la vera politica, la passione per il bene comune. “Perché un individuo può aiutare una persona bisognosa, ma, quando si unisce ad altri per dare vita a processi sociali di fraternità e di giustizia per tutti, entra nel “campo della più vasta carità, perché cerca nel ‘campo della più vasta carità, della carità politica’. Ancora una volta invito a rivalutare la politica che è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune.”(180) E il Papa ci dice con altrettanta chiarezza che “la politica non deve sottomettersi all’economia” (177). Ma aggiungo: soprattutto non deve sottomettersi alla finanza. E il Sogno di Francesco è questo: “Una società umana e fraterna è in grado di adoperarsi per assicurare in modo efficiente e stabile che tutti siano accompagnati nel percorso della loro vita, non solo per provvedere ai bisogni primari, ma perché possano dare il meglio di sé, anche se il loro rendimento non sarà il migliore, anche se andranno lentamente, se la loro efficienza sarà poco rilevante.”(110)

Per realizzare questo sogno, Francesco rimette in discussione una serie di  tabù della proprietà privata, della ‘guerra giusta’ e della pena di morte. La proprietà privata : “La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile il diritto alla proprietà privata e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata. Il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti è il primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale.” E aggiunge :”Il diritto alla proprietà  privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete che devono riflettersi sul funzionamento della società.”(120)

Francesco ne tira subito due importanti conseguenze: ”Lo sviluppo non deve essere orientato all’accumulazione crescente dei pochi, bensì deve assicurare i diritti umani, personali e sociali, economici e politici, inclusi i diritti della Nazioni e dei popoli. Il diritto di alcuni alla libertà di impresa o di mercato, non può stare al disopra dei diritti dei popoli e della dignità dei poveri, e neppure al di sopra del rispetto dell’ambiente, poiché chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti.”(122) Papa Francesco applica subito il principio della destinazione comune dei beni al dramma dei migranti, dei rifugiati.

“Ogni paese è anche dello straniero, in quanto i beni di un territorio non devono essere negati a una persona bisognosa che provenga da un altro luogo.”(124)

Il secondo tabù che Francesco rimette in discussione è la teologia della guerra giusta elaborata da S. Agostino e insegnata lungo i secoli , permettendo ai cristiani di partecipare a tante guerre profondamente ingiuste. Oggi con le armi di distruzione di massa, soprattutto nucleari e batteriologiche, lo scenario cambia radicalmente tutto. “Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile ‘guerra giusta’. Mai più la guerra!”(258) E’ un passaggio fondamentale se vogliamo creare una società fraterna. La guerra deve diventare essa stessa un tabù.

Il terzo tabù che viene infranto è quello della pena di morte, inflitta dallo Stato, che anche la Chiesa lungo i secoli ha approvato e anche praticato. “Oggi affermiamo con chiarezza che la pena di morte è inamissibile e che la Chiesa si impegna con determinazione a proporre che sia abolita in tutto il mondo.”(263) E lancia un accorato appello: “Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme,ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, io lo collego con l’ergastolo…L’ergastolo è una pena di morte nascosta.”(268)

Papa Francesco radicalizza l’insegnamento della Chiesa cattolica su questi tre aspetti fondamentali: la proprietà privata, la ‘guerra giusta’ e la pena di morte, per rendere possibile la costruzione di una società di fratelli. Non sarà un processo né facile né scontato. Ma l’importante, ci ammonisce  Francesco, è di “essere capaci di avviare processi i cui frutti saranno raccolti da altri, con la speranza riposta nella forza segreta del bene che si semina.”(196)