Ho già raccontato in un piccolo libro scritto pochi anni fa in spagnolo (Semillas secas, Madrid 2018) del mio incontro col grande poeta Vicente Aleixandre nell’estate che trascorsi a Madrid nel 1956. Ero arrivato, come accade a molti giovani presuntuosi, carico di lettere di presentazione indirizzate a grandi rappresentanti della letteratura della mia lingua madre che mi donarono loro opere dedicate e datate, più per piacere agli amici cubani che per interesse nei miei confronti. Non so come, riuscii a raggiungere via Velintonia, dove viveva Don Vicente. Ogni cosa andò per il verso giusto e il mio nuovo amico si interessò ai lavori che gli mostravo nelle diverse occasioni in cui mi invitò nella sua casa.

La sua poesia profonda e crepuscolare non trasmetteva una visione ottimistica della vita e concedeva poco alla grazia che viene dai sogni e dai colori, piuttosto sapeva di terra, di sostanze naturali. Era un uomo malaticcio ma molto cortese, faceva parte della Generación del ’27, quella di Lorca, del quale conservava molti ricordi e aneddoti. Era molto cosciente delle difficoltà delle relazioni umane, della condanna che implicava l’amore, non a caso un suo libro si intitolava La destrucción o el amor (La distruzione o amore, Einaudi 1970) e un verso di questo evocava la dificultad de unir dos carnes íntimas e in un altro como te olvido mientras te beso.

Nonostante il profondo pessimismo sembrava un uomo sereno, affabile, ricco di buonsenso anche se circondato da un’aura triste… qualche cosa forse restava muta nel suo cuore. Era dunque un gran conversatore timido: lo ricordo nitido, adagiato sulla sua poltrona preferita vicino al giardino, in quella casa lontana dal centro mentre leggeva ad alta voce le mie poesie e mi consigliava pazientemente possibili migliorie o ancora mi indicava quelle che gli apparivano cadute di tono. Un giorno arrivò a dirmi una verità che, tenuto conto della sua grande amabilità, sicuramente gli costò qualche sforzo: «Ascolta, Alvar, devi vivere di più e scrivere di meno; scriverai dopo, ne sono certo. Non prendere male quanto ti dico: vivi!».

Trascrivo qui altri suoi versi che mi sembra giusto ricordare ora: ¿Lo sabes? Todo es difícil. Difícil es el amor, / más difícil su ausencia. Más difícil su presencia o estancia. / Todo es difícil

La sua vita doveva essere dura: non si occupava di politica ma era stato amico di intellettuali e poeti compromessi nella Spagna repubblicana – non solo Lorca ma anche Miguel Hernández, il quale gli aveva dedicato la bellissima ode che inizia Tu padre el mar te condenó a la tierra. Aleixandre non era andato in esilio data la sua debole salute né fu mai mandato in carcere come l’infelice Hernández, che vi morì nel 1942 appena trentenne. Nonostante la sua prudenza proverbiale, la polizia non gli dava pace e in qualche occasione lo costrinse a eliminare parole considerate licenziose come «coscia» (muslo), che appariva troppo sensuale. Chi avrebbe pensato allora che vent’anni più tardi il mio grande amico avrebbe ottenuto il premio Nobel? Ves, todo es difícil.

Aleixandre, lo ripetiamo, non aveva mai avuto buona salute e molti anni prima aveva dovuto subire l’asportazione di un rene, godendo però fino al 1984, quando aveva già ottantasei anni, di una «pessima salute di ferro». In un libro di J. Riquelme, De Nobel a Novel (Madrid, 2015), si racconta come Don Vicente fosse stato costretto a trascorrere intere giornate a letto. Se ne lamenta il 18 dicembre 1938 e scrive a un amico: «Tu conosci i miei impulsi più intimi, le alte maree e quelle basse, le schiume della mia anima. Oceano, vulcano, selve, leoni, colombe… sento ogni cosa dentro di me e di ogni cosa sento l’ira e l’amore. D’altronde… la luce fra le palpebre fa male. Tutto fa male, persino quei versi tristi della mia poesia Humana voz: Duele la cicatriz de la luz, / duele en el suelo la misma sombra de los dientes, / duele todo, / hasta el zapato triste que se lo llevó el río».

La fama di Don Vicente continuò ad aumentare con gli anni ed egli divenne guida e santo protettore dei giovani interessati alla letteratura e alla poesia. In uno dei famosi romanzi di Javier Marías, Negra espalda del tiempo (Nera schiera del tempo, Einaudi 2000), si legge: «uno degli anziani più affettuosi che sia mai esistito, il poeta Vicente Aleixandre, spesso parlava delle sue malattie, ridacchiando sulle sue magagne». La relazione più importante nella vita di Aleixandre sembra essere stata quella che ebbe con Miguel Hernández, una relazione con toni quasi omosessuali o, se si preferisce, una amitié amoureuse molto profonda che non incluse niente di carnale, sublimata in un affetto sincero da fratello maggiore a fratello minore.

Forse una lettera di Miguel a Vicente del 25 giugno 1941 ci aiuta a capire: «Dimenticai di dirti nel mio ultimo messaggio che leggendo il tuo libro La destrucción o el amor mi sono sentito un primitivo. Così attenta è la tua sensibilità poetica, così controllato il tuo sentimento su ogni cosa universale. Ho detto a un mio amico che il tuo libro è dedicato a una gioventù ancora non presente, sulla quale pesano oscurandola un tradizionalismo lirico confuso e un’esistenza sociale che trapassa i limiti naturali dei quali discuti. È una gioventù che è ancora troppo coperta dai tessuti che rivestono la morte. Insomma il tuo libro è come il mio bambino che cresce in un mondo calzando scarpe troppo piccole, per il tuo libro, per mio figlio e per me stesso». Riquelme cita questa lettera così importante di Miguel Hernández e ricorda come negli anni repubblicani della Spagna ancora in piena Guerra civile, persone come Aleixandre, Hernández, Lorca e altri grandi scrittori, componevano poesie che «sorgevano dalla ferita», vale a dire di un gusto omosessuale, quasi scherzando, quasi fossero nel segreto di determinate circostanze, quasi fossero sentimenti della vita degli amici. Quella corrente erotica inizia con i mirabili Sonetos del amor oscuro di García Lorca, dedicati a Rafael Rodríguez Rapún , qualcosa che allora non si menzionava ma che col tempo venne svelato dallo stesso Aleixandre.

La relazione tra Vicente e Miguel divenne così vicina che Aleixandre dopo la terribile morte di questi (quasi un assassinio) si occupò per lunghi anni della vedova e del figlio. Ma l’amore di Aleixandre per Miguel non fu di tipo sessuale, piuttosto si trattava di una sublimazione dell’anima, com’egli stesso scrive in una lettera del 3 settembre 1946 della quale ignoriamo il destinatario: «Quante volte parlai con Miguel Hernández di queste cose! Io non so se lei sa che Miguel era per me un fratello, un fratello minore, entusiasta, profondamente legato a me, col quale convissi continuamente. Aveva un grande cuore che si rivelava attraverso gli occhi come nella sua poesia. Il fuoco della vita era nella sua anima e comprendeva ogni cosa. Capace di passioni, appassionato, capace di quella nudità dell’anima, di quel palpito del sangue al quale arriva il vero poeta che riesce a far capire ogni cosa umana, giungendo a una generosità senza sforzo che non ha paura di nulla perché ogni cosa umana lo tocca e di nulla prova spavento. Perciò non c’era in lui (così come non può esserci nel poeta essenziale) né insulsaggine alcuna né intransigenza di parte. Era un’anima libera che osservava con uno sguardo chiaro gli uomini».