Eravamo già convinti che fosse giusta nei tempi e nei modi la scelta della Cgil di organizzare con tante associazioni – tra cui il Coordinamento per la democrazia costituzionale – una manifestazione nazionale a Roma, con un punto focale sulla Costituzione. Ci dà ora conferma Giorgia Meloni dal festival delle regioni di Torino, con un intervento segnato da una palese ansia da prestazione. La segue il ministro Giorgetti.

Palazzo Chigi è come il Titanic. Affondano le promesse elettorali, che infatti Meloni rinvia al lontano scenario della fine del mandato quinquennale. Tutte, salvo una. La stagione delle riforme deve andare avanti «con determinazione». «Abbiamo davanti l’anno delle riforme con cui intendiamo cambiare l’architettura istituzionale».

A quanto capiamo, è il 2024. L’obiettivo dichiarato è permettere ai cittadini di decidere da chi farsi governare, impedendo ribaltoni, e giochi di palazzo, e garantendo stabilità dei governi. Anche “l’autonomia differenziata proseguirà senza stop”. Qui si trova l’occasione per un’Italia più unita e più forte, per garantire a tutti i cittadini lo stesso livello dei servizi, per dare più poteri alle regioni garantendo sempre coesione nazionale.

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Ecco le riforme come arma di distrazione di massa, per dare il solo segno di esistenza in vita possibile e sopire disillusioni crescenti. Traspare una larvata diffida a Matterella a non riprovarci con un governo tecnico alla Monti/Draghi, che peraltro nessuno chiede? il cinismo politico indecente della strategia riformatrice della destra è messo in risalto dalla banalità degli argomenti ancora e sempre avanzati a sostegno.

Enzo Cheli, tra i migliori costituzionalisti italiani e studioso prudente e misurato, spiegava con efficacia su La Stampa del 7 settembre perché la riforma cui pensa la destra stravolge gli assetti della Costituzione vigente. Con una formulazione di sintesi qui diremo che non c’è modo di realizzare un premierato/presidenzialismo, in qualsivoglia declinazione, senza incidere pesantemente o persino azzerare il ruolo del parlamento e del presidente della Repubblica. Ma vogliamo anche sottolineare la filosofia di fondo sottesa al progetto della destra: la democrazia si riduce al giorno del voto. Si sceglie la maggioranza che governerà per cinque anni, e se ne valuta cinque anni dopo l’operato. E nel frattempo? Non sia consentito a nessuno disturbare il manovratore, che si tratti dell’opposizione in un’aula elettiva, o di corpi intermedi fuori delle istituzioni.

E come può allora un grande sindacato incidere sulle scelte che determinano la qualità della vita e le risposte alle ansie, ai bisogni, alle speranze di milioni di donne e di uomini? Ecco emergere il vitale interesse di un sindacato come la CGIL a contrastare il disegno dell’uomo solo al comando.

Quanto all’autonomia differenziata, Meloni offre un assist a Calderoli. Ma la pubblicità rimane ingannevole. Garantire l’eguaglianza nei diritti e ridurre i divari territoriali costa, e le risorse non ci sono. Lo hanno detto le audizioni sul disegno di legge Calderoli, lo ha detto Giorgetti prima della Nadef, con la Nadef, e ora a Torino. Bisogna «contemperare l’effettività dei diritti sociali costituzionalmente garantiti e l’uniformità dei livelli essenziali di servizio, con la necessaria sostenibilità della finanza pubblica». Quindi, eguali sì, ma solo se e quanto possiamo permettercelo. Il che non è oggi, non è domani, e nessuno può dire quando.

Certo, un’autonomia differenziata rimane possibile. Ma è solo quella delle regioni come staterelli semi-indipendenti, con buona pace della coesione nazionale invocata. E qui vediamo di nuovo l’interesse vitale della Cgil. Una regionalizzazione generalizzata ad ampio spettro – del tipo, per intenderci, che Zaia e Calderoli vorrebbero – colpirebbe alla fine il contratto nazionale, pilastro dell’identità del sindacato, e forse la stessa struttura nazionale della CGIL come organizzazione.

Con la manifestazione del 7 ottobre la Cgil difende sé stessa, la sua storia, la sua identità. Ma difende anche l’essenza profonda del paese, come noi vorremmo che fosse. Per questo la manifestazione è nel nome della Costituzione. Una bandiera unitaria e unificante per le tante associazioni che parteciperanno, e che saranno dopo chiamate a costruire progetto politico attraverso una ravvivata partecipazione democratica. Tutti in piazza, dunque, per dire a Meloni che anche noi vogliamo un’Italia nuova e diversa. Ma non la sua.