Non potremmo dire: «Non lo sapevo». Dovremmo ammettere che pur consapevoli di quel che ci aspettava non abbiamo fatto nulla per impedirlo, neppure quel poco che potevamo fare.

È stata dichiarata ad alta voce, infatti, la volontà di stravolgere definitivamente l’assetto costituzionale, di abbandonare la “via maestra”. C’è voglia di farla finita con questa nostra costituzione: un ostacolo ancora troppo ingombrante per chi vuole governare senza intralci in nome degli interessi del più forte.

Lo abbiamo letto nei programmi dei partiti e nelle dichiarazioni esplicite dei leader, negli atti depositati e in quelli preannunciati. Presidenzialismo o premierato e autonomia differenziata: sono questi i due principali obiettivi politico-istituzionali che si vogliono raggiungere. Come che la si pensi due riforme che ci consegnerebbero ad un altro sistema rispetto a quello disegnato con la costituzione repubblicana.

Partiamo dalla elezione diretta del Presidente (della Repubblica ovvero del Consiglio: come se fosse equivalente, purché si elegga un “Capo”). Può non essere considerato un male in sé – quante volte ci sentiamo ripetere che in fondo gli Stati Uniti, la Francia sono ordinamenti non meno democratici dell’Italia – ma lo diventa in un paese come il nostro privo di forti contropoteri e che, a seguito della riforma, perderebbe l’unico organo di garanzia politica attualmente operante: il nostro presidente garante, infatti, verrebbe travolto dal presidente governante. Che rimanga il suo simulacro (nell’ipotesi del premierato) o che venga sostituito (nelle ipotesi presidenziali o semipresidenziali) in fondo poco importa: la forma di governo parlamentare sarebbe comunque condannata a morte e le logiche di un presidenzialismo asimmetrico (senza contrappesi) dominerebbero.

In questa “asimmetria” si cela il rischio più grave per la nostra democrazia. Infatti, la storia – oltre la cronaca – ci dimostra che presupposto di ogni forma di governo che si voglia democratica e non illiberale è la conservazione di un equilibrio tra i diversi poteri. Parlamento, Governo, magistratura.

In fondo non è altro che il sacro principio della divisione dei poteri e dei “checks and balances”. Tutte le forme di governo presidenziali sono degenerate – a volte tragicamente – in mancanza di tali presupposti: si pensi alle diverse situazioni nei paesi dell’America latina o nei paesi dell’est europeo ad iniziare dalla Turchia per finire in Russia.

Vogliamo correre questo rischio? Pericolo più che reale visto lo stato di debolezza e di difficoltà del nostro parlamento, che, in ogni

forma di governo, rappresenta il contrappeso naturale del governo. Il nostro parlamento non è, né mai sarà, il potentissimo Congresso statunitense che non esita a bocciare tutte le richieste presidenziali non gradite; nel nostro Paese l’organo della rappresentanza è già oggi dominato dal Governo che ne dirige i lavori e ne indirizza le decisioni.

Sarebbe allora più saggio cercare di far funzionare il parlamento, meglio di quanto non abbia sin qui fatto, razionalizzandone i lavori, i compiti e il ruolo; rafforzandone l’autonomia dall’esecutivo. Perché di questo avremmo certamente un gran bisogno.

Perché è questa la via maestra che ci indica la nostra costituzione.

Una parola anche sul progetto di autonomia differenziata. Solo per ricordare quel che è la reale posta in gioco.

Anche qui è una questione di equilibri. L’articolo 5 della costituzione riconosce e promuove le autonomie locali, ma garantisce anche l’unità ed indivisibilità della repubblica; la nostra costituzione garantisce tutti i diritti inviolabili – civili, politici, sociali, di nuova generazione – su tutto il territorio nazionale.

Siamo sicuri che attribuire in via esclusiva ad alcune regioni, fatti salvi i livelli essenziali, materie come sanità, scuola, lavoro ci faccia rimanere ancora una nazione, “una e indivisibile”? Siamo sicuri che la solidarietà territoriale, l’eguaglianza dei cittadini e tutti i principi fondamentali che la nostra via maestra – la costituzione – impone possano essere rispettati?

Il 7 ottobre scenderemo in Piazza anche – soprattutto – per evitare di imboccare la strada sbagliata. Non possiamo voltarci dall’altra parte. Noi “lo sappiamo”.

* Presidente di Salviamo la Costituzione