Lavoro

In Italia 4 giornalisti freelance su dieci lavorano gratis

In Italia 4 giornalisti freelance su dieci lavorano gratis

Stampa & Diritti I dati choc del rapporto Lsdi 2014. Quattrocento giornalisti scrivono una lettera a Renzi: «Per i precari pari diritti con i dipendenti». I dati smentiscono il premier che nella conferenza di fine anno aveva smentito l'esistenza di «schiavitù o barbarie» nel giornalismo

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 13 gennaio 2016

Quattro giornalisti freelance su dieci hanno lavorato gratis in Italia nel 2014. Il dato sconvolgente è emerso dal rapporto 2014 sulla professione giornalistica «Libertà di Stampa diritto all’Informazione» (Lsdi) presentato ieri a Roma alla Federazione Nazionale della Stampa (Fnsi). Questa condizione interessa 16.830 giornalisti «autonomi» sui 40.534 iscritti alla gestione separata dell’istituto previdenziale di categoria (il cosiddetto «Inpgi2»), vale a dire il 41,5% degli iscritti.

Il rapporto parla di «zero redditi». Una condizione che può essere riscontrata in molte altre professioni intellettuali, ma certo non con la precisione del rapporto Lsdi. In una situazione certamente problematica si trovano anche i 23.704 freelance che nel 2014 hanno dichiarato redditi inferiori o pari ai 10 mila euro lordi all’anno. Nel 2014 è stato inoltre registrato un ulteriore calo della retribuzione media: da 10.941 a 10.935 euro lordi annui. Chi lavora con la partita Iva o con la ritenuta d’acconto in Italia guadagna mediamente il 17,9% di chi invece ha un contratto di lavoro dipendente, 5,6 volte di meno.

Questi dati vanno confrontati con il numero complessivo dei giornalisti. Si fa così un’altra scoperta: i precari (parasubordinati con un contratto precario, le partite Iva, i liberi professionisti) rappresentano la stragrande maggioranza dei giornalisti: nel 2014 erano in totale 50.488. Di questi 32.631 sono lavoratori «autonomi puri» e solo 17.857 sono quelli dipendenti e assunti (7.903 iscritti anche all’«Inpgi 2»). L’enorme sproporzione dimostra com’è cambiata la professione del giornalista: un nucleo duro di «professionisti» – e in costante e irreversibile calo – e una crescente moltitudine di «collaboratori» esterni senza diritti, rappresentanza sindacale, variamente segmentati in categorie, destinati alla competizione permanente e al ribasso dei compensi decisi dalle aziende editoriali. La trasformazione è avvenuta nell’ultimo quindicennio: nel 2000 gli «atipici» erano 21.373, oggi sono 32.631, 40.534 se si considerano i professionisti che lavorano da freelance.

Giornalisti autonomi e dipendenti nel 2014. Fonte: Rapporto Lsdi.
Giornalisti autonomi e dipendenti nel 2014. Fonte: Rapporto Lsdi

Il rapporto Lsdi conferma un’altra tendenza, riscontrabile anche in altri ordini professionali: l’impressionante crescita degli iscritti all’ordine dei giornalisti: nel 2014 erano 105.634, in aumento rispetto al 2013. Questo boom si può spiegare anche con il fiorente «business» delle scuole di giornalismo a pagamento che continuano da anni a sfornare bravi professionisti senza reddito ma con molto lavoro. Questo è il ritratto di un sistema impazzito prodotto da una bolla formativa, da una deregolamentazione contrattuale e l’assenza quasi totale di tutele e garanzie sociali, ancor prima che professionali in un’industria modellata su una cultura elitaria e un assetto oligopolistico.

Questa è la cruda fotografia del mercato del lavoro dei professionisti dell’informazione a pochi giorni dall’affermazione del presidente del Consiglio Matteo Renzi durante la conferenza stampa di fine anno. Al presidente dell’Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino che lo sollecitava ad esprimersi sul precariato dilagante tra i freelance (4900 euro lordi il guadagno annuale per chi lavora nel Nord-Est), Renzi aveva negato l’esistenza di «schiavitù o barbarie» nel giornalismo. Sono seguite infuocate polemiche. Ieri 400 giornalisti hanno inviato al premier una lettera (on line sul sito giornalistifreelance.tk) in cui riportano i dati del rapporto Lsdi 2014 e avanzano al governo sette richieste urgenti: erogare contributi e agevolazioni solo agli editori che pagano equamente e con regolarità; superare i contratti atipici; pari diritti e tutele ai giornalisti dipendenti e autonomi; applicazione della legge sull’equo compenso; tariffe per la liquidazione giudiziale dei compensi; imporre tracciabilità e firma di tutti gli articoli, per agevolare i controlli e far emergere il lavoro non retribuito.

Tra le firme ci sono metà dei segretari e presidenti della Fnsi, direttori di radio, siti e quotidiani (Salvatore Cannavò, direttore operativo de Il Fatto Quotidiano) e giornalisti di frontiera, minacciati dalla criminalità organizzata, come Giovanni Tizian o Ester Castano. Un giornalista precario e senza tutele è indifeso anche rispetto ai rischi professionali che corre. In Italia il lavoro gratuito mina alla base la libertà di stampa.

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