Alla domanda il portavoce del Cremlino, Dimitri Peskov, ha risposto in modo netto: gli europei pagheranno il nostro gas in rubli; se non hanno rubli, li comprino usando euro e dollari. Poche ore prima i governi del G7 avevano escluso la possibilità, citando violazioni contrattuali. Così, alla vigilia della scadenza che il presidente russo, Vladimir Putin, ha fissato con un decreto a domani, regna l’incertezza più assoluta su un elemento chiave del sistema economico europeo, quello dell’energia.

IL DECRETO di Putin prevede in sostanza uno scambio gas contro rubli per tutti i paesi considerati «ostili». Con questa misura il team economico di Putin rinuncia evidentemente a incassare consistenti blocchi di valuta straniera nella prospettiva di ottenere una rivalutazione del rublo, che negli ultimi giorni ha mostrato segnali di ripresa, ma è scivolato con l’inizio della guerra in Ucraina ai minimi storici nel doppio confronto con euro e dollaro.

È presto per prevedere l’esito dell’operazione sul versante economico. Ma su quello politico e diplomatico a Mosca affrontano il tema con la massima serietà. «Stiamo attuando tutti i punti previsti dal nostro piano di azione», ha detto il premier, Mikhail Mishustin, che ha una solida preparazione in tema di finanze pubbliche. «Non faremo beneficenza», aveva già detto il portavoce Peskov. In teoria per una enclave di potere pronta ad affrontare una guerra, interrompere le forniture di gas anche temporaneamente a paesi ai quali è riconosciuto uno status di ostilità non dovrebbe essere difficile. La risposta dell’Europa è stata caratterizzata sino a questo momento soprattutto dall’attesa. Sul lungo periodo c’è la prospettiva, e la speranza, di adeguate forniture dagli Stati uniti e dal Medio oriente. Nel breve si può soltanto scommettere su un bluff.

QUALCHE EFFETTO che pochi avrebbero potuto prevedere la strategia russa lo sta, comunque, già producendo. E non è detto che si tratti di notizie positive per il Cremlino. Uno dopo l’altro i governi di Polonia, Repubblica ceca e Repubblica slovacca hanno fatto sapere che non prenderanno parte al prossimo vertice del gruppo di Visegrad in programma a Budapest. Nella capitale dell’Ungheria i rappresentanti dei quattro paesi avrebbero dovuto discutere importanti misure sul piano della difesa e su quello umanitario a luce della guerra in Ucraina. Il problema è che il gruppo adesso affronta una crisi esistenziale.

Secondo l’ex premier polacco Donald Tusk, che oggi presiede il Partito popolare europeo, questa è la risposta alle «politiche pro Putin» di Viktor Orban. «Per Orban il petrolio russo è più importante del sangue ucraino», avevano denunciato la scorsa settimana fonti del governo ceco. Proprio Orban ha firmato a Mosca due importanti accordi in materia di energia negli ultimi sei mesi, e si è opposto in sede europea all’ipotesi di sanzioni su gas e petrolio. Domenica è chiamato a un importante impegno elettorale. L’Ungheria voterà sia per il nuovo Parlamento, sia per introdurre nell’ordinamento nazionale con un referendum voluto dal partito Fidesz limiti alle libertà individuali che molte organizzazioni internazionali ritengono in linea con la legge russa sulla “propaganda gay”.

IL PIANO ENERGETICO e monetario del Cremlino procede di pari passo con un’altra iniziativa, assunta, però, al ministero degli Esteri. In una riunione a porte chiuse con un gruppo di parlamentari del partito Russia Unita, il capo della diplomazia, Sergei Lavrov, ha parlato di «imminenti restrizioni» al meccanismo che regola l’ingresso nel paese dei cittadini stranieri.

Le restrizioni entreranno a far parte di un decreto e riguarderanno i quarantotto paesi che il consiglio di sicurezza ritiene «ostili». Sul sistema che i russi intendono usare per applicarle il riserbo è ancora massimo. Probabilmente riguarderanno alcune particolari categorie, legate per esempio a specifici settori dell’economia o della cooperazione.

Dell’elenco, è cosa nota, anche l’Italia è entrata a far parte. «Ci è stata dichiarata una guerra ibrida totale», ha ribadito Lavrov, secondo il quale «l’obiettivo è palese: vogliono distruggere la nostra economia, cercano di minare la stabilità politica del nostro paese per indebolirci e per spingerci, come dichiarano apertamente, ai margini della scena internazionale».