Papa Francesco ha di recente lanciato l’allarme sul ricorso al lawfare, alla guerra giuridica, come meccanismo di intervento nello scenario politico. Nel suo discorso al Vertice dei giudici panamericani ha spiegato che «il lawfare, oltre a mettere in grave pericolo la democrazia dei paesi, generalmente viene utilizzato per minare i processi politici emergenti e propendere alla violazione sistematica dei diritti sociali».

Il lawfare è stato definito dal Comando Sud degli Stati uniti parte della strategia per assicurare l’influenza e tornare allo stato di subordinazione del continente che per Washington è sempre stato il «patio trasero» (cortile di casa). Una strategia utilizzata nei colpi di Stato, come quelli contro i governi di Honduras e Paraguay.

Quando i golpe «bianchi» istituzionali falliscono, cercano di imporla con la forza come fatto storicamente orchestrando colpi di Stato insurrezionali o minacciando interventi militari diretti come nei confronti del Venezuela, un paese costretto ad affrontare pressioni e sabotaggi di ogni tipo contro la sua popolazione, con il blocco statunitense che causa la penuria di alimenti e farmaci.

L’ATTUALE amministrazione statunitense ha accentuato il proprio interventismo nella regione, cercando di recuperare lo spazio egemonico perso dopo il fallimento delle politiche neoliberiste negli anni ’90 con l’ascesa di governi progressisti che hanno messo in essere strategie all’insegna di una maggiore sovranità e giustizia sociale.

Per garantire i propri interessi, Washington non può permettere che un paese indipendente e sovrano esca dalla sua orbita di dominio. Il ritorno alle politiche neoliberiste in diversi paesi della regione favorisce la ricolonizzazione del continente, l’acuirsi della dipendenza, l’esclusione sociale, la concentrazione della ricchezza, finendo per rendere spurie le democrazie latinoamericane.

La guerra giuridica è utilizzata per denigrare e attaccare ex governanti progressisti, per evitare che tornino a crescere alternative popolari alle politiche neoliberiste. Non si tratta di fatti isolati: rispondono a politiche imposte dagli Usa in tutto il continente; è quello che accade in Brasile contro Lula e Dilma Rousseff, la perversa impalcatura giuridica e politica usata per impedire la candidatura di Lula alle elezioni.

Le denunce del giornalista statunitense Glenn Greenwald, vincitore del Premio Pulitzer nel 2014 insieme allo staff del Washington Post, hanno rivelato com’è stato costruito il processo contro Lula, la perversione e le falsità del giudice Sergio Moro, di Bolsonaro e dell’ambasciata statunitense.

In Argentina è stata costruita un’architettura politica basata sull’intervento della giustizia attraverso lo spionaggio, con l’intervento diretto e parastatale di agenzie di intelligence, con un grande impegno da parte dei media, concentrati in poche mani, e di giornalisti diventati spie. Come è stato possibile che un autista come Oscar Centeno abbia avuto a sua disposizione informazioni e dati tali da costruire un piano per denunciare Cristina Kirchner, i suoi figli ed ex funzionari del suo governo? Il popolo non è stupido. L’inganno e la bassezza messi in campo assomigliano all’operato nefasto del giudice Moro contro Lula in Brasile o a quanto è stato compiuto in Ecuador contro l’ex presidente Rafael Correa.

I NOSTRI POPOLI credono nella giustizia, ma non credono più nel potere giudiziario. Il governo minaccia e condiziona i giudici. Certi magistrati temono le minacce e le rappresaglie, hanno paura che si inventino ragioni per sottoporli a un giudizio politico o per insabbiare il loro lavoro.

Quando un giudice indaga su fatti che coinvolgono funzionari dell’amministrazione giudiziaria e alleati del governo, come Marcelo D’Alessio, il procuratore Stornelli, i presunti repubblicanisti come il giudice Bonadío, la ministra della sicurezza sociale Patricia Bullrich, deputati della coalizione di governo, settori della corporazione dei giudici, i media mainstream e lo stesso presidente della nazione avviano una campagna feroce contro i giudici indipendenti, come Alejo Ramos Padilla, mirando a squalificarli e distruggerli per evitare che proseguano le inchieste.

Il presidente Macri, forte della sua impunità, invita il procuratore Stornelli a un evento pubblico nella giornata delle forze armate, come per dargli manforte di fronte ai cinque rinvii a giudizio decisi dal giudice Padilla; burlandosi così di quella giustizia che dovrebbe servire. Le accuse in serie avanzate dal giudice Bonadío contro l’ex presidente Cristina Fernández, benché siano evidenti le falsificazioni, come ad esempio nella causa relativa all’importazione di gas liquefatto, mettono in evidenza la strategia del lawfare. A importare non sono verità, obiettività, giustizia, ma obiettivi politici al servizio del potere.

I SERVIZI SEGRETI delle ambasciate degli Stati uniti e di Israele continuano a tramare nell’ombra, con giudici che vanno e vengono per essere «formati»: imparano come demolire qualunque opposizione politica e come indurre e manipolare campagne elettorali e opinione pubblica, sostenuti da una stampa canaglia che agisce nella totale impunità. L’obiettivo è arrivare a condannare prima dei giudici e instillare nella popolazione gli effetti di queste condanne mediatiche, sollevando sospetti e accuse.

Le prove dell’appartenenza di Marcelo D’Alessio alla Dea, con legami stretti negli Stati uniti, in Israele, con la ministra Bullrich e il procuratore Stornelli, la sua partecipazione al vertice dei capi di Stato del G20 sono fatti gravi che attentano alla sicurezza del paese. Nel corso di una perquisizione, sono stati trovate in possesso di D’Alessio armi sofisticate che non esistono nel paese, in dotazione alle forze armate statunitensi, e documentazione che attesta le sue responsabilità e connivenze con il governo.

È molto grave che si permetta ad agenzie di intelligence parastatali di operare, come hanno fatto – lo si apprende dalla documentazione sequestrata – D’Alessio e la sua équipe in Venezuela e Uruguay, violando i diritti sovrani di paesi fratelli.

È NECESSARIO denunciare il lawfare e chiarirne i meccanismi all’opinione pubblica. Ma non basta. Nella ricerca di alternative dovremmo mettere in atto strategie di maggiore trasparenza e controllo nella gestione pubblica e nell’amministrazione della giustizia e istituzionalizzare con maggiore determinazione efficaci meccanismi di controllo e democratizzazione della società.