Fine dell’attesa. «Il presidente della repubblica Abdelaziz Bouteflika ha firmato il decreto per la convocazione delle elezioni presidenziali che si svolgeranno il prossimo 18 aprile 2019», recita il comunicato stampa ufficiale. L’annuncio mette fine alle voci che circolavano da mesi su un possibile «periodo di transizione» per l’approvazione di un progetto di revisione della Costituzione con l’obiettivo di creare la carica di vice presidente, attualmente non prevista.

La convocazione delle elezioni, al contrario, lancia ufficialmente la corsa per le diverse candidature che potranno essere depositate entro il 4 marzo. Forti dubbi rimangono riguardo alla possibile candidatura (la quinta), dell’attuale presidente Bouteflika che, all’età di 81 anni, sarebbe stato candidato dal suo partito, il Fronte di liberazione nazionale (Fln) e dall’altro partito di maggioranza, il Raggruppamento nazionale democratico (Rnd) «in nome della continuità e della stabilità del paese».

Contrarie a questa ipotesi tutte le opposizioni, che denunciano una «candidatura di facciata dell’attuale establishment politico al potere» visto che a causa delle sue gravi condizioni di salute Bouteflika non sarebbe in grado di fare la campagna elettorale, né di assumere le piene funzioni di presidente per un ulteriore mandato. L’incertezza durerà fino a metà di febbraio, quando Bouteflika ha detto che scioglierà la riserva.

Poche certezze riguardo anche ai futuri candidati. A una settimana dalla convocazione per le presidenziali, infatti, sono più di 30 le richieste, un numero elevato a dimostrazione che le prossime presidenziali potrebbero andare in controtendenza riguardo al progressivo disinteresse degli algerini nei confronti della politica, come confermato dalle ultime elezioni del 2017 dove il vero vincitore fu l’astensione.

Al momento i principali pretendenti sono l’ex generale Ali Ghediri, indipendente ma legato alle forze di governo, l’altro centrista Abdelaziz Belaid del partito Mustaqbal, Fethi Gherras del partito di sinistra Mds e il controverso e discusso outsider Rashid Nekkaz. Mancano, però, ancora all’appello i candidati “di peso” di alcuni dei più importanti partiti algerini. Molto concreta la candidatura dell’ex premier Ali Benflis, leader del partito centrista Talaie al Hourryet, secondo alle precedenti presidenziali del 2014 con quasi il 13% dei voti.

Pur consapevoli del loro crollo alle ultime elezioni parlamentari, i partiti islamisti difficilmente si riuniranno sotto il cappello del Movimento società pace (Msp), erede del vecchio Fronte di salvezza islamica (Fis), e del suo leader Abedrazzak Makri a causa delle rivalità interne.

A sinistra è ancora in dubbio la candidatura di Louise Hanoune, segretaria del Partito dei lavoratori (Pt) che, come dichiarato sul quotidiano Algerie Patriotique, «deciderà questa settimana insieme all’ufficio politico se presentarsi o se appoggiare un candidato progressista comune». Hanoune ha comunque evidenziato numerose perplessità riguardo al sistema elettorale algerino «ancora iniquo perché troppo permeabile alla corruzione» ed ha annunciato l’istituzione di una Assemblea Costituente che permetta al popolo algerino di «esercitare la sua sovranità per mettere fine allo status quo ed agli errori di questi anni».

Il calo del prezzo del petrolio, le misure di austerità del primo ministro Ahmed Ouyahia, le tensioni sociali e la crescente crisi economica rendono, infatti, il paese più grande del continente africano una polveriera pronta ad esplodere. Proprio come avvenuto in passato, uno dei principali rischi resta la consistente e pericolosa presenza di formazioni jihadiste presenti nel territorio algerino: da al Qaeda con l’Aqmi al Gruppo islamico armato (Gia), allo stesso Daesh.

«Le prossime elezioni presidenziali – ha sottolineato Hanoune – saranno un test decisivo per capire quale sarà il nostro futuro», precisando che solo i paesi che organizzano elezioni trasparenti e corrette possono evitare ulteriore caos e disordine come sta avvenendo in Algeria.