La guerra di Putin è tanto esterna quanto interna. Mentre infuria quella contro l’Ucraina, prosegue la repressione dello stato verso dissidenti e oppositori politici russi. Una delle figure più emblematiche in tal senso, Alexey Navalny – leader del partito «Russia del futuro», vittima in passato di un tentativo di avvelenamento e in carcere dal 2021 – ha reso pubblico la scorsa domenica un lungo messaggio dalla colonia penale in cui è rinchiuso.

Si tratta della prima dichiarazione dell’oppositore dalla sentenza definitiva del 4 agosto, che lo ha condannato a 19 anni di detenzione: un dettagliato atto di accusa nei confronti delle élite del suo paese.

Lo abbiamo commentato con Ilya Budraitskis, politologo e attivista che ha lasciato la Russia poco dopo l’invasione dell’Ucraina, membro del Movimento Socialista Russo e autore del libro Dissidents among dissidents.

Ilya Budraitskis

Nel suo messaggio Navalny muove dure critiche non solo a Putin ma anche alla dirigenza Eltsin e alla classe politica liberale degli anni ’90, individuando nel golpe del 1993 un momento chiave in cui è iniziato l’accentramento del potere in Russia. Cosa ne pensa?

Non si tratta di una mossa inedita per Navalny. Direi che è parte della sua strategia politica, che si pone anche lo scopo di prendere il più possibile le distanze dalla controversa e dolorosa esperienza degli anni ’90. Il leader di «Russia del futuro» ha capito che per promuovere un nuovo “populismo social-liberale” è molto importante segnare una differenza forte rispetto a quell’eredità e, dal carcere, sta sviluppando ulteriormente le proprie analisi in tal senso. Per certi versi si tratta di una critica significativa. Se guardiamo agli ambienti liberali russi, notiamo come la concezione di fondo con cui comunemente si spiega la recente trasformazione del regime putiniano e l’aggressione contro l’Ucraina è rappresentata dall’idea di una continuità tra l’attuale governo russo e il regime sovietico. Una linea di pensiero tipicamente liberale e “anti-comunista” per cui ora, con la dittatura di Putin, si assiste a una sorta di revival dello stalinismo, dell’autoritarismo sovietico e via dicendo. Navalny, invece, abbozza una diversa genealogia. Accusa Eltsin e le vecchie élite post-sovietiche di aver perso l’occasione storica di dare un fondamento democratico alla società russa (nella fattispecie, un sistema di giustizia indipendente e un parlamento forte) e di aver sacrificato lo stato di diritto all’altare degli interessi delle cricche criminali salite al potere, arricchitesi attraverso privatizzazioni condotte in modo selvaggio.

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Che tipo di reazioni sta provocando il messaggio? Pensa che possa trovare consenso nell’opposizione russa?

Questo è forse l’aspetto più negativo della lettera. Navalny non compie solo un’analisi generale del periodo degli anni ’90 e del governo Eltsin, ma accusa personalmente numerose importanti figure dell’opposizione liberale russa. Ciò che traspare è dunque un rifiuto totale verso qualsiasi tipo di collaborazione con le persone che, secondo lo stesso Navalny, sono responsabili moralmente e politicamente per la situazione attuale. Anche qui siamo di fronte a un atteggiamento tipico del leader di «Russia del futuro», che da un lato si è spesso distinto per aver rifiutato di portare avanti mediazioni democratiche con altre forze di opposizione e dall’altro cerca di accreditare se stesso e i suoi sostenitori come le uniche figure sufficientemente “pulite” e meritevoli per guidare l’opposizione russa. Chi è stato criticato ha avuto gioco facile a rispondere solo a livello personale, senza entrare nel merito dell’analisi politica più ampia. Inoltre, non c’è quasi nessuna menzione della sinistra russa, tanto meno si entra nel merito del programma politico dello stesso Navalny. Ciò rende problematico pensare a potenziali collaborazioni. Tuttavia, penso che i punti riguardanti libere elezioni e transizione verso una repubblica parlamentare debbano essere sostenuti senza esitazione da tutte le forze d’opposizione.

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Intanto la repressione continua e non tocca solo Navalny, ma anche importanti intellettuali di sinistra quali Boris Kagarlitsky così come paramilitari di estrema destra quali Igor Girkin. Stiamo entrando in una nuova fase?

Dopo il cosiddetto “ammutinamento” del comandante della Wagner, Prigozhin, sia il livello che lo spettro politico delle repressioni sono aumentati in modo significativo. Credo che i servizi segreti (Fsb) si siano rivelati i maggiori vincitori di quell’evento: sono stati d’altronde i primi a dare un nome a ciò che stava accadendo e a chiamarlo «un ammutinamento». È lecito supporre che l’Fsb sia diventato ancora più potente di prima e stia gestendo le paure di Putin (aumentate proprio per via delle azioni di Prigozhin). Intanto, si cerca di giustificare l’ondata repressiva agli occhi della società. Un articolo su Ria Novosti di Aleksandr Dugin, per esempio, ha appena affermato che la repressione è un modo di rinvigorire e rendere più dinamico il corpo sociale, mentre i nuovi libri di storia per le scuole che entreranno in vigore da settembre individuano nell’eccessiva leggerezza delle repressioni la causa del crollo dell’Urss. Insomma, la repressione sta diventando un elemento strutturale dell’ideologia di potere, nessuno può più dirsi al sicuro.