Jean Luc Godard non aprirà loro la porta della sua casa a Rolle, in Svizzera, nonostante l’appuntamento preso, e senza alcun preavviso..Che delusione per questa signora di 88 anni che è arrivata fin lì da Parigi, col giovane amico e complice in viaggi e progetti artistici, ammiratore appassionato del regista col quale condivide – almeno agli occhi della signora – la mania di non togliersi mai gli occhiali scuri. «Lo ha fatto una volta per me in un piccolo film» ha spesso raccontato lei al ragazzo. E poi che dolore quel messaggio in codice che le ha lasciato sul vetro, riferimento a giorni lontani, a un’epoca condivisa, a affetti comuni, a cui lei risponde nello stesso codice che solo loro due riescono a decifrare. Non so se essere arrabbiata, dirà davanti al lago al giovane amico che nel vederla così ferita è pronto a togliersi infine gli occhiali, immagine sfocata davanti ai suoi occhi malandati. E qui, tra questi ammiccamenti a antiche relazioni e un forse impossibile ritrovarsi finisce il nuovo viaggio di Agnés Varda, indomita ragazza Nouvelle Vague tra tanti registi maschi, compagna di Jacques Demy, cineasta magnificamente indipendente, che negli anni non ha mai smesso di sperimentare nuove forme del racconto e nuovi modi di mostrare le immagini, schermo, gallerie.

A accompagnarla stavolta c’è il fotografo JR, e il dispositivo del film diventano proprio i suoi enormi collage di volti «installati» sui muri, «rivelatori di umanità», di storie e e di persone. Visages Villages – presentato fuori concorso – attraversa la Francia tra piccole città e realtà quasi scomparse dal nord di miniere chiuse al sud luminoso in cui gli agricoltori lavorano da soli centinaia di ettari. Nel vecchio quartiere di minatori è rimasta solo Janine, ricorda di quando il padre, anche lui in miniera, portava indietro a casa il pranzo e lei e i fratelli nel pane sentivano l’odore delle viscere della terra.

Davanti  al suo ritratto enorme sul muro di casa la donna si commuove. E poi le fabbriche, qualcuno che va in pensione, un paese in cui suonare le campane è ancora un’arte tramandata tra le generazioni. La ragazza prescelta per il ritratto non è contenta di vedere la sua immagine, enorme sul campanile, rimbalzare tra selfie e social – «Sono timida spiega» mentre i suoi bimbi sono felici. L’itinerario segue il caso – è stato sempre stato il mio migliore alleato spiega Varda col suo caschetto di capelli bicolore – e i ricordi intimi, le tracce di una memoria personale. Lei torna alla casa di Nathalie Sarraute, sulla tomba di Cartier-Bresson, sulla spiaggia dove aveva fotografato da ragazza con Guy Bourdin, anche lui fotografo, bello con la maglietta a righe. JR la porta a Le Havre dai portuali con cui ha realizzato un lavoro, e Varda gli chiede di «installare» tre giganteschi ritratti delle loro mogli.

Tra conversazioni, confidenze, l’incontro con la nonna centenaria di JR, merende di dolci e melone, l’occhio e i piedi di Varda, il loro on the road intreccia variazioni con leggerezza, umorismo, un po’ di romanzesco da cui affiora il ritratto di una Francia al presente e il diario intimo degli artisti.