Valle della Luna, l’ultima spiaggia. E dai primi anni Sessanta che questa piccola cala di rocce bianche e di mare di smeraldo è uno dei luoghi di ritrovo della comunità hippie. Continua a esserlo a una distanza di tempo siderale da quando il movimento è nato negli Usa come forma di controcultura, come protesta pacifica contro le convenzioni e le regole di un mondo chiuso in un conformismo che maschera, dietro una facciata di perbenismo, ipocrisia e violenza. Tutte le estati questa minuscola striscia di sabbia a pochi chilometri da Santa Teresa di Gallura, sul lato est del promontorio di Capo Testa, accoglie alcune decine di ragazze e di ragazzi che nei valori libertari di una stagione lontana ancora si riconoscono. Piantano tende e costruiscono capanni, in una dimensione comunitaria che con i suoi riti, con le sue regole, marca i confini di una radicale presa distanza dal mondo. Dal mondo così com’è fatto: diserzione dallo stato presente delle cose. Stanno lì, nel loro rifugio lunare, costruito su un pianeta alieno in un angolo nascosto delle coste sarde al quale si arriva attraverso un piccolo sentiero in mezzo al mirto e all’elicriso. Non chiedono altro che di essere lasciati liberi di vivere la loro dimensione altra. Il mondo così com’è potrebbe ignorarli, lasciarli alla loro scelta. Ma non ce la fa. Sono decenni, sin dagli inizi, sin dagli anni Sessanta e Settanta, che gli hippie della Valle della Luna fronteggiano l’ostilità delle persone per bene. Si spaventano, le persone per bene, di un modo di passare sulla Terra leggeri, pacifici, non violenti. Negli archivi dei giornali locali si trovano persino cronache di spedizioni punitive contro i Figli della Luna, partite dalla vicina cittadina di Santa Teresa di Gallura. Mica fascisti o altro, gente del posto.

E POI GLI SGOMBERI. L’ultimo, l’altro ieri. Carabinieri, polizia e guardia di finanza insieme in un’operazione che neanche contro una banda di narcos uno riuscirebbe a immaginarsi. Un blitz cominciato alle prime luci del giorno e durato sino al pomeriggio. Una trentina di hippy, arrivati in Sardegna da mezzo mondo, cacciati via dopo essere stati identificati e multati per campeggio abusivo. Sulle pagine dei quotidiani sardi e su alcuni siti web, trovi la storiella che lì c’è il divieto, decretato dal comune di Santa Teresa di Gallura, di piantare tende. E siccome i Figli della Luna su quella spiaggia invece ci vivono, alcuni anche durante l’inverno, alte grida di scandalo. Su Facebook c’è persino un gruppo (si chiama «Noi con Salvini») che applaude ai carabinieri: «Gli hippie se ne devono andare».

Per capire quanta ipocrisia ci sia dietro lo scandalo e quanta ragione ci sia dalla parte dei Figli della Luna il modo migliore ci sembra confrontare, come fossero due cartoline, le immagini di Santa Teresa di Gallura e delle sue spiagge negli anni Sessanta-Settanta e ciò che alla vista appare oggi. Un gioco nel quale aiuta la memoria. La prima volta che vidi Santa Teresa di Gallura avevo diciannove anni, era il 1974. Un autobus malandato di una linea pubblica che partiva da Olbia mi scaricò sulla piazza di quello che allora era un piccolo borgo di pescatori, poche case costruite intorno alla torre che nel 1500 gli spagnoli, allora signori dell’isola, costruirono su un promontorio a guardia delle coste dalle incursioni dei pirati moreschi. La cosa che mi colpì subito fu il silenzio. Un luogo che sembrava disabitato. Le case erano piccole, basse. Uguali a quelle che avevo conosciuto in un altro borgo marinaro, Stintino: le spiagge e il mare dell’infanzia e della prima adolescenza. C’era allora a Santa Teresa di Gallura un unico albergo, non grande, un tre stelle, costruito negli anni Cinquanta. Nessun residence. Pochi bar. Pochissimi ristoranti, per lo più trattorie. Era maggio, una giornata chiara. La mole della Corsica, le scogliere candide di Bonifacio, si stagliavano nitide sulla linea dell’orizzonte. La meta del viaggio però non era Santa Teresa di Gallura. Era la Valle della Luna. Volevo vederlo quel posto. In auto percorsi la strada che porta sino a Capo Testa. Un paesaggio incantato. Rocce di granito in una distesa di macchia mediterranea in piena fioritura.

INCANTATO, quel paesaggio, perché ancora non aggredito dall’industria delle vacanze: nessuna casa, tanto meno villaggi turistici, nessuna discoteca. Niente. Solo granito, lentischio, mirto. Al rifugio degli hippy arrivai a piedi per un sentiero appena tracciato. In quel paesaggio, in quella luce che sembrava la prima luce sul mondo, in quel chiarore di mare, di sabbia e di cielo, era come se quelle ragazze e quei ragazzi fossero gli unici abitanti possibili della Terra, gli unici giusti per tutta quella bellezza. Lì non avresti potuto immaginare altra presenza umana. Natura e specie, nessuna distinzione. O forse, più esattamente, una cultura che gli equilibri fragili ma anche potenti di quella bellezza sapeva rispettare. Incantato, quel paesaggio, perché ancora non aggredito dall’industria delle vacanze: nessuna casa, tanto meno villaggi turistici, nessuna discoteca. Niente. Solo granito, lentischio, mirto.

PROVATE ad andare adesso a Santa Teresa di Gallura. È un grande parco per turisti. Hanno costruito dappertutto: case che affitti sulle app, hotel di ogni risma, residence da centinaia di posti letto. Un porto turistico per yacht, per barche e per barchette da diporto dove prima c’erano i gozzi dei pescatori. E provate a percorrere adesso la strada che porta a Capo Testa: loculi a schiera per vacanzieri poveri e ville una dietro l’altra per i ricchi, costruite negli stili più disparati. Cemento su cemento che ha invaso ogni angolo di quella meravigliosa distesa di granito e di macchia mediterranea ancora intatta negli anni Settanta. Confronti le due cartoline e vedi due mondi lontanissimi: quello prima e quello dopo il cosiddetto «sviluppo turistico». Il tempo ha cambiato tutto. Una cosa sola è rimasta uguale e sono i Figli della Luna e la loro valle, il loro sogno di un mondo diverso. Mandano i carabinieri a cacciarli via. Ma ritorneranno, come sempre in tutti questi anni sono ritornati. Con l’ostinazione mite di chi sa di essere dalla parte giusta.