La situazione in Italia per le rinnovabili è kafkiana. Da un lato c’è l’Europa, con un trend impressionante: i dati del think tank Ember indicano come gas, carbone e petrolio lo scorso mese hanno contribuito solo per il 23% dell’elettricità Ue nonostante la domanda di elettricità continui a crescere, con eolico e solare che per la prima volta coprono più di un terzo del mix elettrico, arrivando con l’idroelettrico al 54%. Ad aprile eolico e solare hanno generato il 34% dell’elettricità Ue, superando il 31% del maggio 2023. Insieme hanno rappresentato il 62% di tutta la produzione rinnovabile. Sono dati che indicano una strada ormai irrinunciabile, quella che conduce alla decarbonizzazione, timidamente sposata anche dall’Italia con il Pniec (Piano nazionale integrato per l’Energia e il Clima) del 2023.

DALL’ALTRO LATO, INVECE, ASSISTIAMO nel nostro Paese al tentativo di rallentare questo processo, comprovato da una serie di azioni tra le quali la crescente pseudo-diatriba mediatica che oppone le rinnovabili al paesaggio e un decreto del ministero dell’Agricoltura che impedisce l’installazione dei moduli fotovoltaici sui terreni agricoli.Per il primo aspetto, si è avuto già modo su queste colonne di osservare che c’è il modo di trovare una soluzione capace di far installare 80 GW di rinnovabili nei prossimi sei anni, che è quanto ci chiedono l’Europa ed il Pniec, rispettando il paesaggio, perché il rispetto del pianeta e la conservazione della nostra eredità culturale sono due facce della stessa medaglia.

OCCORRE AFFRONTARE LA QUESTIONE modificando gli atteggiamenti del passato, perché lo sforzo da fare sulle rinnovabili per rispettare gli impegni internazionali deve essere vista come una grande opportunità per il Paese, soprattutto a vantaggio del paesaggio. Pensare di affrontare questo tema senza modificare stili di vita, valutazione delle priorità, rapporto con il territorio, significa essere fuori dalla realtà perché i danni del cambiamento climatico non lasceranno scampo e nessuna tutela paesaggistica potrà opporsi.

DIRE, COME SI STA FACENDO in questi giorni: aspettiamo i nuovi piani paesaggistici per poter decidere dove e come installare gli impianti rinnovabili, significa aumentare volutamente la confusione sull’argomento. Nessuno ha mai detto di voler aggredire le zone tutelate del paese. Grandissima parte delle installazioni a terra di fotovoltaico necessarie per raggiungere gli obiettivi europei potrebbero riguardare una piccola parte dei terreni marginali non coltivati da decenni ed abbandonati dagli agricoltori perché improduttivi, una perdita di Superficie Agricola Utile italiana avvenuta negli ultimi trent’anni stimata in tre milioni di ettari. Oppure utilizzare aree industriali dismesse: quindi nessuno pensa di installare in Italia impianti fotovoltaici ed eolici in aree vincolate, nei Sic, nelle Zps, nelle Aree protette e nei siti Natura 2000.

INOLTRE, L’EVOLUZIONE DELLE tecnologie consentono una maggiore produzione a parità d’ingombro rispetto agli impianti esistenti. Per l’eolico, poi, oltre alle tecnologie del repowering sugli impianti esistenti, che riducono ulteriormente la già esigua occupazione di suolo, il Pnrr prevede l’installazione di pale eoliche off-shore galleggianti anche a distanze considerevoli dalle coste. Però non è solo l’urgenza climatica che ci deve guidare in queste scelte, ma anche un atteggiamento culturale, che riguarda contestualmente le ragioni dell’una e l’altra parte.

OGGI LE DEFINIZIONI DEL PATRIMONIO culturale, riproposte dalla Convenzione di Faro, sottolineano il valore dell’eredità culturale secondo i concetti della sostenibilità, includendo questi ultimi, quindi, nella individuazione del rispetto e della tutela dell’ambiente. Questo significa che oggi occorre inserire le azioni di contrasto al cambiamento climatico tra le forme di tutela. Considerare cioè il processo di decarbonizzazione dell’energia uno strumento per la conservazione, alla stessa stregua del recupero conservativo di un bene culturale.

L’AMBIENTE, PARTE DEL PATRIMONIO culturale, necessita di un sistema di tutele specifiche e forse la più importante tra queste, quella che riguarda l’intero pianeta, è proprio la decarbonizzazione dell’energia. Questo perché il patrimonio culturale, nelle sue varie dimensioni, materiali ed immateriali, è, al pari dell’energia, una risorsa condivisa e un bene comune e proteggerlo diventa quindi una responsabilità comune.

A LIVELLO REGIONALE, secondo i dati Gse, la superficie agricola che ospita pannelli è compresa tra lo 0,1% e lo 0,2% del totale. Eppure il Governo ha approvato il decreto legge «Disposizioni urgenti per le imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura, nonché per le imprese di interesse strategico nazionale», il decreto Agricoltura, che vieta l’installazione di nuovi pannelli fotovoltaici a terra sui terreni agricoli, mettendo di fatto a rischio anche i target rinnovabili al 2030 più cauti, quelli del Pniec (80 GW). Facciamo chiarezza sui numeri: i dati Istat riportano una superficie agricola in stato di abbandono di 3,9 milioni di ettari a fronte di una superficie agricola nazionale di 16,5 milioni di ettari: nel nostro paese la superficie agricola utilizzata (Sau) quindi è pari a 12,5 milioni di ettari e rappresenta circa il 41,8% dell’intera superficie nazionale. Per il raggiungimento degli obiettivi Pniec basterebbe lo 2,5% della superficie agricola abbandonata!

INOLTRE, PER AUMENTARE la confusione tale norma risulterebbe contraddittoria anche con le indicazioni contenute nella bozza di Decreto Aree Idonee, la cui pubblicazione sarebbe dovuta avvenire entro giugno 2022. Aumenterebbe l’instabilità per gli investimenti in energia pulita, confermerebbe la poca indipendenza e sicurezza energetica del Paese, non andrebbe nella direzione di piani di sviluppo industriali interni e della possibilità di aumento dell’occupazione. In presenza di regole chiare non esisterebbe alcuna conflittualità tra lo sviluppo delle rinnovabili e la tutela del settore agricolo, al contrario, la transizione energetica è l’unica soluzione strutturale per contrastare l’emergenza climatica che sta già pesantemente colpendo la nostra agricoltura.

* prorettore alla Sostenibilità, Sapienza Università di Roma