«Conducevano il detenuto all’interno della stanza, ove un gruppo di sette assistenti (…) lo aggredivano; in particolare lo ammanettavano con le mani dietro alla schiena, così provocandogli la lussazione della spalla, lo colpivano ripetutamente con uno schiaffo, un pugno, più calci di cui uno nelle parti intime che gli procurava l’annebbiamento della vista e gli sputavano addosso»; «…lo prendeva per il collo e lo sbatteva a terra facendolo cadere a faccia in giù; subito dopo i quattro assistenti lo colpivano, con calci e pugni, mentre il detenuto si trovava a terra e piangeva, fino a farlo sanguinare dalla bocca, procurandogli un ematoma viola all’occhio e uno alla testa».

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Carceri, ancora un incendio al Beccaria

Al Beccaria, secondo la ricostruzione dei giudici nell’ordinanza di custodia cautelare, era normale che un ragazzo fosse picchiato, offeso, torturato. Il sistema, che pare andasse avanti da tempo, è un mix tragico di soprusi, intimidazioni, pestaggi, depistaggi, falsi. Il tutto sempre nella certezza di farla franca. Non funziona, dunque, la retorica delle mele marce. Marcio era il sistema nelle fondamenta che pensava di governare con il terrore un luogo complesso che avrebbe dovuto viceversa essere vocato all’educazione.

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Va detto, però, che esiste un’altra faccia della medaglia. Esiste anche un altro Stato: che si indigna, che denuncia, che rischia e si espone per assicurare giustizia. Una filiera di qualità fatta di operatori, psicologi, ma anche del garante di Milano e di un consigliere comunale che hanno portato il caso all’attenzione dei giudici. L’altro Stato è anche quello di altri poliziotti penitenziari (quelli del Nucleo investigativo centrale) che hanno portato avanti l’inchiesta contro i loro colleghi, rompendo la coltre dello spirito di corpo, nonché dei giudici. Ovviamente ci auguriamo che, se si dovesse arrivare a processo, insieme a noi di Antigone, che chiederemo di essere ammessi come parte civile, ci sia anche il governo. E che quest’ultimo riponga nel cassetto ogni intenzione di modificare o abrogare la legge contro la tortura.
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Cesare Beccaria si sta rivoltando nella tomba. Produce rabbia vedere il suo nome accostato a una storia di tortura contro un gruppo di ragazzi molto giovani. Il filosofo milanese nel 1764 aveva teorizzato l’abolizione della tortura definendola «una crudeltà consacrata dall’uso nella maggior parte delle nazioni». Nel suo nome ci attendiamo una parola da parte del ministro Nordio contro la tortura e contro i presunti torturatori, nonché le scuse a quei poveri ragazzi a nome dello Stato.