Ma come è stato possibile arrivare fin qui? Israele ammazza platealmente a Teheran il leader di Hamas che conduceva il negoziato di pace, e incendia d’ira mezzo mondo e di terrore l’altro mezzo: ma Biden tace, il segretario di Stato Usa Blinken non batte ciglio e l’Europa predica e si allinea.

Il cancelliere tedesco annuncia il possibile schieramento in Germania dei missili Usa a testata nucleare, a medio-lungo raggio. Putin gli risponde che allora la Russia darà il riavvio alla produzione e disposizione speculare di queste armi. A Washington, in occasione del 75° della Nato, quasi tutti i leader europei confermano un programma di riarmo riduce l’Europa al servizio della strategia statunitense contro la Russia, che naturalmente “non” è Europa. A dispetto della storia, della geografia, della cultura e dell’anima nostra. Del resto il Senato americano ha accolto il ricercato dalla Corte penale internazionale, Netanyahu, con tutti gli onori: deve pur difendersi, no?

Massimo Cacciari, filosofo isolato dal coro di quelli che Chomsky chiama gli «opinionisti ammaestrati», chiede: ma l’escalation militare in atto è veramente l’unica strada? (La Stampa, 13 luglio). Questa Europa gli ha già risposto sì. «Davvero – insiste Cacciari – non è stato che un intervallo la non-guerra, o la guerra per interposta persona, tra i grandi spazi imperiali dopo la Seconda guerra mondiale» – mentre la guerra resta il destino degli umani in terra? (La Stampa, 29 luglio). Proprio così, risponde questa Europa in coro. Lo sfondo di queste risposte è cupamente illuminato dallo storico Richard Sawka: «La guerra russo-georgiana del 2008 è stata di fatto la prima guerra per bloccare l’allargamento della Nato. La crisi ucraina del 2014 è la seconda. Non è sicuro che l’umanità sopravviverà alla terza».

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Questi i fatti, e ora, le idee. La prima tremola in cima a una domanda: ma se l’Unione europea oggi è questa, come farà ad essere quel vero «luogo» del Politico capace, suggerisce Cacciari, di «contenere frenare gli appetiti egemonici di quei soli Stati in grado di svolgere ancora una propria politica, cioè i grandi Imperi?». L’idea di Europa che l’Unione europea era nata per incarnare era tutta diversa: «contenere e frenare» l’arbitrio del più forte era certo la sua vocazione, ma può mai bastare a questo la pur necessaria trasformazione della «guerra» in competizione per lo sviluppo, l’innovazione, l’efficienza amministrativa e tecnica?

Cacciari sembra suggerire questa sorta di «conversione realista», che ha già accettato le dimissioni dell’idealità – giuristi e filosofi sono muti, ci dice, e le assemblee parlamentari ridotte a fantasmi. E qui viene la seconda replica “idealista”: ma non sarà precisamente la completa erosione dell’ideale a furia di politica dei compromessi e del meno peggio che svuota di senso l’impegno civile e riduce a ectoplasmi le assemblee parlamentari? Anche perché non è vero che i giuristi sono muti: miliardi di persone hanno seguito col fiato sospeso l’accusa, la difesa, il giudizio alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja riguardo all’ipotesi di genocidio che grava su Israele, mentre la Corte penale internazionale ha emesso sentenze definitive non soltanto riguardo alle apocalissi mediorientali, ma anche alla guerra di Ucraina. E non è vero che i filosofi tacciono.

Alcuni, certo, hanno tradito l’impegno di verità che è la loro ragion d’essere: e fra questi Habermas e Michael Walzer quando pubblicamente hanno nascosto sotto la formula del «diritto all’autodifesa» di Israele l’indicibile orrore che da oltre mezzo secolo si abbatte, e non per destino ma per volontà umana e armi americane, sui civili palestinesi.

Ma altri ci ricordano i due obblighi che noi, i popoli delle nazioni Unite, «per salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità» (Preambolo della Carta dell’Onu), riconosciamo prevalere sulle sovranità e gli interessi degli stati nazionali: e cioè il rispetto dei diritti umani e il divieto di ricorrere alla guerra per la soluzione dei conflitti internazionali. E che il Trattato Istitutivo dell’Unione europea precisamente questi due obblighi premette al macchinario della sua ingegneria istituzionale. Fra i filosofi (e giuristi), Luigi Ferrajoli, nel suo Per una Costituzione della Terra.

L’umanità al bivio (2022), tradotto in molte lingue, indica con precisione in che modo i principi e i diritti fondamentali del costituzionalismo globale andrebbero integrati e implementati attraverso le istituzioni di governo globale e quelle di garanzia. I 100 articoli della sua bozza di costituzione dovrebbero fare l’oggetto di un convegno mondiale per la salvezza della civiltà umana sulla terra, come quello che Niccolò Cusano immaginò si tenesse a Gerusalemme, sotto la presidenza dello Spirito Santo, nell’imminenza della caduta dell’Impero Romano d’Oriente. Sarebbe una risposta al disperato appello a una riforma radicale dell’Onu che il suo Segretario aveva lanciato nel settembre 2023.