Rimane alta la tensione in Egitto dopo le proteste scoppiate venerdì sera, che hanno visto migliaia di persone in varie città del paese scendere in piazza per chiedere le dimissioni di al-Sisi, dopo gli scandali di corruzione che hanno travolto il presidente e la sua cerchia di gerarchi militari.

Sabato nella città portuale di Suez per la seconda notte consecutiva centinaia di persone sono scese in strada. La piattaforma indipendente MadaMasr e diverse testimonianze di attivisti diffuse sui social riferiscono di un massiccio uso di potenti gas lacrimogeni, l’impiego di fucili da caccia da parte di agenti in borghese e arresti arbitrari tra i manifestanti.

Ciò nonostante i cortei improvvisati sono andati avanti fino alle sei di domenica mattina e la violenza delle forze di sicurezza ha richiamato altre persone in strada, in una città che è stata decisiva anche durante la rivolta del 2011.

Da sabato invece Piazza Tahrir al Cairo è occupata militarmente da decine di mezzi della polizia e diverse testimonianze riferiscono di controlli e perquisizioni a tappeto di chi attraversa la piazza o le strade circostanti. A molti giovani viene chiesto di sbloccare il telefono per accedere all’account Facebook e monitorarne l’attività recente.

E cresce anche il numero delle persone in stato di arresto. Secondo gli ultimi dati raccolti e diffusi dal Centro egiziano per i diritti economici e sociali, a ieri sera erano almeno 516 gli arrestati, ma il numero è in crescita costante. A Suez sono stati documentati rastrellamenti nelle case proseguiti nelle ore successive alle proteste.

Secondo Khaled Ali, attivista ed ex candidato presidenziale, sono un centinaio gli avvocati (appartenenti a ong, studi privati e partiti) che in queste ore si sono uniti per formare «un unico team legale» in difesa delle vittime di repressione.

Una di loro, Mahienour el-Massry, giovane avvocatessa di Alessandria sempre in prima linea nelle battaglie politiche e legali, è stata letteralmente sequestrata da tre agenti in borghese che l’hanno caricata con la forza su un furgoncino poco dopo un’udienza a cui aveva partecipato per difendere i suoi assistiti.

Si moltiplicano anche gli arresti mirati di leader di partito e attivisti sociali, soprattutto tra le fila della sinistra. Già pochi giorni prima delle proteste era stato arrestato Kamal Khalil, 69 anni, militante storico vicino ai movimenti operai e contadini e ai sindacati indipendenti, fondatore del Centro per gli studi socialisti al Cairo.

La morsa si stringe anche su internet. Dopo che in molti avevano segnalato disguidi, arriva da Netblocks (organizzazione per le libertà digitali) la conferma che alcuni server egiziani hanno bloccato l’accesso a Messenger, alla Bbc araba e ad altri siti e limitato la capacità di upload delle immagini su Fb, rendendo così più difficile la circolazione di video e foto. I media pro-regime (cioè quasi tutti) hanno totalmente ignorato le proteste o si sono limitati a sminuire i numeri e gridare all’ennesimo complotto dei Fratelli musulmani.

Resta il fatto che (con al-Sisi a New York per l’Assemblea generale Onu) il regime appare in questo momento ancora privo di una linea chiara. Nessun alto esponente dell’esercito ha rilasciato dichiarazioni ufficiali sulle proteste e mancano direttive precise su come affrontare la piazza, anche se per ora la strategia sembra quella di evitare morti che potrebbero rapidamente trasformarsi nei «martiri» di questa nuova ondata di proteste.

Intanto Mohammed Ali, l’imprenditore che dal suo esilio in Spagna ha incitato alla ribellione montando una campagna contro la corruzione di al-Sisi, nel suo ultimo video invita nuovamente gli egiziani a manifestare in massa venerdì prossimo.E ieri il suo account Twitter è stato bloccato per alcune ore.

Difficile prevedere cosa succederà. «Mi aspetto che le proteste continueranno, ci sarà più gente e la reazione delle forze di sicurezza sarà più feroce – dice al manifesto Ibrahim Heggi, portavoce del Movimento 6 Aprile in Italia – Lo stato di eccezione permanente creato da al-Sisi si è infranto in 24 ore. Il costo per chi lo sostiene ora è diventato semplicemente troppo alto. Ormai siamo a un punto di non ritorno».