Ieri mattina il Cairo si è svegliata con una nuova ondata di arresti. All’alba, come è abitudine ormai, decine di agenti della Sicurezza nazionale hanno fatto irruzione in casa di diversi attivisti e giornalisti e li hanno prelevati portandoli in un luogo ignoto. Almeno otto le persone arrestate.

Per alcuni il fermo è già stato convalidato da una corte della Sicurezza di Stato (il sistema di giustizia emergenziale parallelo a quello ordinario). Tra le vittime del raid Ziad el-Elaimi, ex deputato, volto simbolo della rivolta del 2011, quando era portavoce della coalizione dei giovani rivoluzionari, e oggi esponente di punta del partito socialdemocratico; Hesham Fouad, giornalista che si occupa di questioni sociali, vicino ai movimenti dei lavoratori; e Hossam el-Moanis, anche lui giornalista, che ha guidato la campagna presidenziale del nasserista Hamdin Sabahi. C’è preoccupazione soprattutto per el-Elaimi, avvocato, afflitto da gravi problemi di salute. Per lui l’accesso alle cure mediche è questione di vita o di morte.

Il ministero dell’interno dichiara di aver smantellato con questi arresti una rete di sostegno economico alla Fratellanza musulmana che avrebbe avuto come obiettivo quello di «colpire lo Stato durante le celebrazioni del 30 giugno», anniversario delle proteste di piazza e del golpe che rovesciarono il governo islamista nel 2013.

Una versione poco credibile: i presunti autori del complotto (denominato «Piano Speranza») sono in realtà noti attivisti di sinistra e nasseristi, che spesso hanno fatto dell’opposizione all’Islam politico una cifra della loro militanza. Si tratta più verosimilmente di una ennesima «vendetta contro i volti più rappresentativi della rivoluzione di gennaio», scrive un attivista in esilio dalla sua pagina Facebook.

Il portale indipendente Madamasr rivela infatti un retroscena molto diverso dalle dichiarazioni ufficiali. Secondo un membro del parlamento, «Speranza» sarebbe il nome di un progetto di coalizione tra partiti, attivisti, alcuni parlamentari e personalità indipendenti che doveva essere lanciata nei prossimi giorni come piattaforma per le prossime elezioni politiche.

Un tentativo di formare un blocco unitario delle opposizioni, in cui «non c’è nessuno spazio per i Fratelli musulmani» chiarisce. «Nessuna operazione segreta», spiega il deputato, solo un paio di mesi di riunioni preparatorie in vista del lancio ufficiale, alle quali alcuni degli arrestati di ieri avevano partecipato. E conclude: «Il ministero dell’interno dica chiaramente se in Egitto è consentito fare politica oppure no».

L’Egitto in questi giorni ospita la Coppa delle Nazioni africane, mega-evento che ha attirato decine di migliaia di persone nel paese. Il regime vuole che tutto fili liscio per mostrare al mondo la sua faccia efficiente e festosa, scoraggiando qualsiasi manifestazione di dissenso. Eppure, proprio negli stadi è tornata a farsi sentire la voce del malcontento popolare sotto forma di solidarietà ad Abou Treka, ex stella del calcio egiziano, ostracizzato e condannato per la sua presunta vicinanza alla Fratellanza musulmana. Anche se il tifo calcistico è stato criminalizzato, il regime non ha potuto impedire la partecipazione degli spettatori egiziani al torneo.

In tutte le partite giocate dalle squadre arabe (compreso il match di apertura, dove era presente anche al-Sisi) dagli spalti si sono alzati cori per il giocatore, icona calcistica molto cara agli egiziani. Negli ultimi giorni un tam-tam sui social invitava a far sentire il suo nome dagli stadi egiziani, dopo che la stampa di regime lo aveva nuovamente attaccato per una sua dichiarazione sulla morte di Morsi. Secondo al-Araby, numerosi tifosi sono stati arrestati in questi giorni per gli striscioni o i cori dedicati a Treka.

Intanto in Sinai continua l’insurrezione armata, che il regime appare sempre più incapace di affrontare seriamente. Sabato scorso un attentato ha colpito l’aeroporto di el-Arish, uccidendo quattro persone, ma la notizia non è neppure passata sui media egiziani.

Si respira aria di tensione, come sempre in occasione degli anniversari più simbolici. A sei anni dalla presa del potere, il regime militare si mostra – nonostante tutto – sempre più insicuro e impaurito.