Venticinque anni di ritardo da quando il nostro paese ha ratificato la Convezione contro la tortura delle Nazioni Unite, venticinque anni lungo i quali l’Italia non ha mai adeguato il proprio codice penale alla legislazione internazionale. Pochi mesi fa sono poi arrivate le bacchettate e le sanzioni dell’Ue, che ha chiesto all’Italia di adeguarsi all’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che definisce la tortura e obbliga i paesi membri a sanzionarla. E’ cronaca poi delle ultime settimane la sentenza sul caso Cucchi e quella sulle violenze nella caserma di Bolzaneto. Sentenze che avrebbero potuto avere ben altro epilogo se in Italia alla voce tortura fosse esistito un reato corrispondente.

Questo il clima con cui nel nostro paese si è celebrata ieri la Giornata mondiale contro la tortura, tra l’indifferenza istituzionale e la mobilitazione per il rush finale della chiusura delle 3 leggi su carcere, droga e tortura promosse da un ampio cartello di associazioni e forze sociali e sindacali. Cento piazze in tutta Italia per concludere la raccolta di firme e rilanciare politicamente la campagna per abolire i nefasti effetti della Fini-Giovanardi sulle droghe, per far rispettare la Costituzione in carcere e per introdurre finalmente il reato di tortura. Per Patrizio Gonnella, portavoce di Antigone, in prima fila nella raccolta di firme, «il ritardo italiano sul tema della tortura è ingiustificabile. Sono molte le proposte di legge presentate in questi primi mesi di legislatura e ci auguriamo che le istituzioni vadano fino in fondo mettendo fine a questo buco nero del diritto».

A Roma, nella sala stampa della Camera si sono poi incontrati movimenti e associazioni per discutere proprio di tortura con i parlamentari. «Un’iniziativa – spiega Guido Farinelli del Nuovo Cinema Palazzo – che abbiamo deciso di organizzare all’indomani della sentenza Cucchi perché abbiamo sentito l’urgenza di continuare a mobilitarci». A prendere la parola allora è proprio Ilaria Cucchi, «la tortura in Italia esiste, si tortura nelle caserme e nelle carceri, ma è come se fosse invisibile. Di tortura sono morti mio fratello e tanti altri, e la nostra seconda tortura è essere abbandonati e traditi dallo Stato a cui abbiamo chiesto giustizia». Per Vittorio Antonini, portavoce dell’associazione di detenuti Papillon Rebibbia, «le stesse condizioni carcerarie sono di fatto nel nostro paese una tortura. Non servono per forza strumenti medievali per torturare, e alle condizioni detentive terribili si aggiungono violenze sistematiche ed endemiche». La paura di Vittorio e di tanti altri è che sentenze come quelle Cucchi o Aldrovandi o per i fatti di Bolzaneto creino un senso d’impunità tale da legittimare le violenze nelle carceri, nelle caserme, nei Cie.

Ad ascoltare una attenta platea di parlamentari di Sel, Pd e 5 Stelle. Per Micaela Campana, democratica impegnata nella commissione giustizia della camera, «la politica e le istituzioni devono ascoltare attentamente, ma è anche importante non fare promesse né slogan: ci sono diverse proposte di legge e puntiamo come Pd ad approvare l’inserimento del reato di tortura in tempi brevi discutendone anche con la società civile». I 5 Stelle Turco e Ferrante hanno annunciato per la prossima settimana la presentazione di un loro disegno di legge e fatto presente come «non basti la solidarietà delle istituzioni, come quella espressa da Laura Boldrini alla famiglia Cucchi e a Patrizia Aldrovandi, se non è seguita subito da fatti concreti che riparino alle ingiustizie subite anche per colpa delle istituzioni».