«Questo mondiale non si sarebbe dovuto giocare, o meglio non si sarebbe dovuto assegnare al Qatar, al quale si è dato lo sport più bello del mondo calpestando i diritti umani, corrompendo, imbrogliando, grazie alla complicità dei signori del football, che glielo hanno venduto nel 2010», ha detto la direttrice di Rai Sport Alessandra De Stefano nella prima puntata de “Il Circolo dei Mondiali” in onda su Rai 1.

Parole vere: il mondiale in Qatar (realizzato grazie a uno massiccio uso schiavista di migranti che ha provocato tante morti) rivela la profonda sottomissione del calcio a un sistema illiberale di manipolazione dei suoi amatori.

Nell’emirato l’omosessualità è severamente bandita. Il suo ambasciatore per il Mondiale, un ex giocatore, ha dichiarato che gli omosessuali non sono benvenuti; che gli ospiti devono rispettare i costumi e le regole dei padroni di casa. Infantino, capo della FIFA, un’organizzazione compromessa con il potere economico dei petrolieri arabi, ha affermato una settimana fa, in un gesto di apparente distensione, che si sente «bizzarro, arabo e gay». La prima delle tre affermazioni è vera, la seconda è compiacenza di un suddito verso il suo padrone adottivo, la terza è un’idiozia.

Le federazioni calcistiche di Inghilterra, Galles, Belgio, Danimarca, Germania, Olanda e Svizzera avevano deciso che i capitani delle loro nazionali portassero delle fasce con la scritta “OneLove”, per indicare che l’amore può avere diverse declinazioni, ma tutte fanno parte di un unico sentimento umano. Il rispetto di ogni modo di amare sarebbe di conseguenza un fondamentale elemento dei diritti umani.

Le sette federazioni hanno fatto un passo indietro, quando la FIFA, guidata dal “gay per un giorno” Infantino, ha stabilito che i capitani delle squadre che avrebbero riportato sulla loro fascia la scritta “OneLove” avrebbero avuto sanzioni sportive. In un comune comunicato hanno dichiarato che erano pronte a pagare multe, ma non a esporre i loro giocatori a sanzioni o anche a espulsioni.

Il comunicato esprimeva frustrazione ed prometteva altre (blande) forme di sostegno dell’inclusione. L’episodio è un eloquente esempio dell’uso strumentale del calcio che, più di ogni altro sport, è stato asservito del tutto a interessi economici e politici che l’hanno snaturato. A tenere la schiena dritta sono stati i giocatori dell’Iran che non hanno cantato il loro inno in difesa della libertà delle donne iraniane. L’etica abita nelle persone libere. Non negli slogan dell’Occidente.

La questione del mondiale in Qatar non è riducibile al fatto che un simile evento si tenga in un paese che non rispetta i diritti umani. L’amara verità è che tali diritti non sono rispettati in gran parte del mondo. Il mondiale viola la condizione necessaria perché un evento di questo tipo possa avere una funzione positiva di fratellanza momentanea, nonostante le profonde divergenze che dividono i paesi del mondo: l’accesso senza limitazione alcuna a tutti gli atleti che hanno per meriti puramente sportivi il diritto di parteciparvi e a tutti gli spettatori, indipendentemente dalle loro scelte religiose, culturali e sessuali.

Se gli omosessuali non possono partecipare, o devono nascondersi per farlo, allora chi partecipa viola la libertà di tutti e diventa complice della distruzione dello spirito sportivo come elemento pacificante i popoli al di là dei loro conflitti. Nella loro arrendevolezza a un personaggio improbabile come Infantino, le democrazie occidentali mostrano la loro corruzione dall’idea totalitaria dell’uso del calcio come controllo psicologico delle masse: la sostituzione del piacere, divertimento vero, che questo gioco amato da quasi tutti può produrre, con l’effetto insieme eccitante e sedativo dello spettacolo che addormenta le coscienze. La democrazia si è staccata dalle modalità di rappresentazione di sé della Grecia classica e si è assoggettata alla logica del Colosseo.