Mentre Gorbaciov appena atterrato viene accolto dalle autorità con omaggi e sorrisi, una voce dalla folla gli grida: «Signor Gorbaciov, perché Mosca non vuole ascoltare il desisiderio della Lituania di essere indipendente?». Lui si gira, appare seccato, dice qualcosa ma la domanda rimane inevasa.

Inizia così, nelle immagini un po’ consumate di repertorio Mr. Landsbergis – tra i titoli premiati nel palmarés di Cinéma du Reel, il festival del documentario parigino che si è chiuso ieri – col quale Sergei Loznistsa ripercorre la battaglia per l’indipendenza della Lituania.

Dai primi lampi, accordati alla Perestrojka che si accendono già nel 1988, e che oppongono i fautori di piccole conquiste e coloro che invece chiedono un cambiamento radicale, una piena autonomia dall’Urss – «il punto è sapere se siamo indipendenti o se invece siamo ancora una repubblica sovietica» dice qualcuno in un intervento a quello che è il primo congresso di Sajudis, il movimento che porterà il Paese all’indipendenza, l’11 marzo del 1990.

Agli eventi del gennaio 1991, quando l’Urss tenta un colpo di stato – strumentalizzando anche la crisi economica molto forte – con le forze speciali mandate in Lituania e gli scontri a Vilnius nel parlamento e alla torre della televisione che causeranno diversi morti. L’Urss infine riconoscerà a settembre l’indipendenza del Paese,ma di quella violenza si riconosce responsabile Gorbaciov che sarà poi Nobel per la pace.

Paradossi della storia o un altro punto di vista?

IL DISPOSITIVO cinematografico si fonda come sempre nel lavoro del regista sugli archivi, qui enormi, a cui si alterna per la prima volta una lunga conversazione con domande specifiche, mai però poste in campo col signor Landsbergis del titolo,tra i fondatori di Sajudis e primo presidente lituano nell’era post-sovietica, che oggi ha 89 anni. «Lo stato esiste per estendere il suo territorio e divenire così invincibile. Se ti metti contro questo diventi un nemico del popolo perché le autorità agiscono in nome del popolo. È ciò che fonda l’Impero delle menzogne» dice oggi seduto nel giardino della sua casa, a proposito della politica dell’Urss – la questione era: «Perché hanno spinto la perestrojka?» – sottolineando così dalle prime battute quel «doppio gioco» russo nei confronti dei lituani che apriva ai cambiamenti purché non scuotessero un ordine anche economicamente necessario.Il confronto con quanto è accaduto in Ucraina, la decisione di Mosca di invadere il paese con l’esercito e le violenze atroci a cui assistiamo da quasi un mese, è abbastanza immediato. E non nelle modalità che i tempi e l’assetto politico di quegli anni Novanta erano molto diverso dall’attuale.

Vytautas Landsbergis
Lo stato esiste per estendere il suo territorio e divenire così invincibile. Se ti metti contro questo diventi un nemico del popolo perché le autorità agiscono in nome del popolo. È ciò che fonda l’Impero delle menzogne

CIÒ CHE CREA un’eco, al di là delle parole del protagonista, è il modo in cui l’autore costruisce la sua narrazione re-illuminando gli interstizi da cui affiorano le tensioni e i conflitti delche riguardano la Storia come il presente.

Accadeva in Maidan (2014) realizzato anch’esso con materiali di repertorio ma in «tempo reale» nei giorni delle proteste nella piazza di Kyiv che determinarono la caduta e la cacciata del governo filorusso di Yanukovich. E prima in My Joy (2010), una «finzione» di umorismo nero e allucinato dentro al sentimento del caos post-sovietico. O in Donbass (2018), incursione nella violenza della regione «separatista» tra filorussi e ucraini.

Questo perché Loznitsa, ucraino nato in Bielorussia nel 1964, matematico di formazione, studi di cinema a Mosca, filmmaker che si muove tra i «generi» delle immagini mischiandone la cifra, in ogni opera affronta la storia del XX secolo, puntando il suo obiettivo sulle ripercussioni sempre attuali degli eventi che hanno scandito caduta dell’Unione sovietica. Dice a proposito: «Sono quindici anni che lavoro su questo tema. Provo a mettere in luce i segni indelebili che il blocco ha lasciato, gli avvenimenti tragici che ha prodotto e che in tanti continuano a non voler vedere».

L’UCRAINA in questa sua ricerca è un luogo centrale, e Loznitsa da quando è iniziata la guerra non ha risparmiato accuse molto nette nei confronti del regime di Putin e di chi lo sostiene. Quello che non ha fatto è stato invece aderire al boicottaggio generalizzato degli artisti russi molti dei quali continuano a esprimere critiche verso Putin nonostante i rischi.

Sergei Loznitsa
Se l’’identità nazionale’ conta più delle persone e della loro libertà, questo è nazismo. Un regalo ai propagandisti del Cremlino. Sono e sarò sempre un regista ucraino. E mi auguro sinceramente che tutti rimangano sani di mente in questo tragico momento

Ieri alla decisione dell’Ukrainian Film Academy di espellerlo perché troppo «apolide« e troppo poco nazionalista ha risposto con una lunga dichiarazione pubblicata sul sito del festival in cui tra l’altro si legge: «Il concetto chiave oggi per ogni ucraino dovrebbe essere la sua identità nazionale dice l’Academy sulla sua pagina Facebook. Quindi, non è il punto di vista civile e politico di ogni cittadino del paese che conta; non è l’aspirazione di unire le persone del mondo che amano la libertà e che pensano liberamente contro l’aggressione russa; non è la creazione di uno sforzo internazionale di tutti i paesi democratici del mondo per vincere questa guerra; è l’’identità nazionale’ che conta di più. Sfortunatamente, questo è nazismo. Un regalo ai propagandisti del Cremlino dell’Accademia del cinema ucraino. I ’membri dell’Accademia’ chiedono che la comunità internazionale ’non mi consideri come rappresentante della sfera culturale ucraina’. Mai in vita mia ho rappresentato una ’sfera’. Tutto ciò che dico e faccio è sempre stato e sarà sempre una mia scelta personale. Sono e sarò sempre un regista ucraino. E mi auguro sinceramente che tutti rimangano sani di mente in questo tragico momento».