«Il Libano è nel cuore della tempesta. Stiamo provando a risparmiare al paese la guerra» ha dichiarato il premier uscente Mikati, di ritorno da una visita ufficiale in Qatar. «Chiediamo a Israele di interrompere le provocazioni alla frontiera – ha aggiunto -. Il popolo libanese non vuole la guerra».

Questa mattina è prevista una riunione straordinaria del consiglio dei ministri per discutere di un piano d’urgenza. Addestramenti e simulazioni sono già avvenute nei giorni passati negli ospedali. Si combatte in maniera costante al confine sud. Il dato più significativo è quello dei circa 30mila sfollati libanesi che hanno dovuto lasciare la maggior parte dei villaggi alla frontiera e che ora trovano rifugio in strutture improvvisate come scuole o da parenti e amici, secondo le stime dell’Organizzazione internationale per le migrazioni, agenzia Onu. Anche molti villaggi israeliani al confine sono stati evacuati.

AL MOMENTO GLI SCAMBI si concentrano in un raggio di una quindicina di chilometri da una parte e dall’altra del confine e il fronte si estende praticamente dalle Fattorie Cheba’a – occupate da Israele nel 1967 e contese con Libano e Siria – le cui alture sono in fiamme da giorni a est, fino a ovest, nei pressi di Naqura, sul Mar Mediterraneo e sede della forza di interposizione Unifil. Questa, messa a custodia della Linea Blu, la zona cuscinetto che esiste tra i due stati da oltre 40 anni, ha sulle parti un impatto decisamente limitato.
Sono in corso accertamenti sul lancio il 16 e il 17 ottobre di bombe israeliane al fosforo a Dharya, già usate il 12 ottobre scorso, come ha riportato Human Rights Watch.

Hezbollah ha perso in totale una conquantina di uomini, mentre pochissimi israeliani sono morti. Hassan Nasrallah, leader supremo del Partito di Dio, ha annuciato un discorso pubblico venerdì alle 15. Dal 7 ottobre a oggi Nasrallah non ha mai preso parola sulla guerra e ha mandato avanti i suoi. L’attesissimo discorso del capo ha tutta l’aria di essere uno spartiacque.

Gli effetti economici della guerra sono già evidenti. È calato drasticamente l’ingresso di stranieri nel paese: il Libano vive per il 20% di turismo. Molte compagnie aeree hanno ridotto al minimo i voli. Alcune ong internazionali e dei centri di ricerca hanno invitato e spesso costretto i lavoratori non necessari nel paese ad allontanarsene.

TUTTE LE AMBASCIATE sconsigliano fortemente i viaggi in Libano ed alcune, come quella Usa, hanno chiesto espressamente ai propri connazionali di lasciare il paese. Nella capitale il fine settimana molti dei luoghi di solito affollati erano semivuoti. C’è tanta paura in giro di sprofondare dopo quattro anni di crisi economica, dopo il covid, l’esplosione al porto, una forte instabilità politica, in una guerra che nessuno vuole.

Lo studio dell’Istituto di finanza internazionale sull’impatto della guerra nella regione pubblicato ieri non lascia molto spazio all’immaginazione: «L’economia libanese, già indebolita da 4 anni di crisi, imploderà completamente nel 2024 in caso di conflitto esteso e prolungato, con un Pil che potrebbe crollare di un 30%».

Altrettanto caldo è il fronte siriano, dove gli aeroporti civili di Damasco e Aleppo sono stati già bombardati due volte da Israele dall’inizio del conflitto. Nella notte tra domenica e lunedì l’aviazione israeliana ha bombardato Dara’a, città a sud delle alture del Golan occupate. Inoltre la guerra civile in Siria è tuttora in corso, così come l’immensa crisi umanitaria che il paese attraversa.

AL CONFINE SUD EST CON L’IRAQ, a Al Bukamal, gli americani hanno condotto dei bombardamenti in seguito agli attacchi ricevuti dalle loro basi militari in Iraq e Siria da presunti gruppi armati filoiraniani. L’Iran ha negato il coinvolgimento in queste azioni, come pure in quella del 7 ottobre.
L’allargamento del conflitto alla regione è diventata quindi una possibilità concreta in primo luogo per Siria e Libano. E l’impatto sarebbe sicuramente devastante.