Il 76° anniversario della Liberazione dal nazifascismo cade, nel secondo anno di pandemia, nel cuore di una crisi sistemica globale e nella prospettiva di una riforma strutturale non rinviabile delle relazioni economico-sociali, dell’approccio alla questione ambientale e della promozione dei diritti politici e civili di cui l’Europa dovrebbe essere epicentro internazionale.

Antifascismo e Resistenza rappresentano i perni dell’identità europea perché sono stati e rimangono un’esperienza comune sia rispetto al lascito memoriale sui popoli del continente sia perché costituiscono un campo storico largo, dove si sono affermati democrazia di massa, stato sociale e ripensamento del concetto di patria e unità nazionale.

Lo spazio pubblico disegnato dalla lotta partigiana europea definisce la misura politica di un rapporto con il passato in grado di rafforzare la radice di fondo dei valori democratici alla base delle costituzioni post-belliche degli anni ’40 (Italia), post-dittatoriali degli anni ’70 (Grecia, Portogallo e Spagna) e dello stesso progetto di unità disegnato dal Manifesto di Ventotene.

L’antifascismo è stato un fattore costituente della storia d’Europa poiché non solo ha rappresentato, in un arco temporale cronologicamente delimitato, la lotta contro il nazifascismo ma perché si è definito come «teoria dello Stato» e riforma inclusiva dei rapporti e dei diritti sociali, della cooperazione e delle relazioni internazionali.

Una funzione resa nella sua sintesi ideale dal «Manifesto di Ventotene» scritto da Altiero Spinelli, antifascista, comunista dissidente (in aperta rottura con il partito negli anni delle repressioni staliniane e del patto Ribbentrop-Molotov) e infine parlamentare europeo del Pci.
Proprio il Parlamento di Bruxelles con la Risoluzione sulla Memoria europea del 2019 promossa dai governi postfascisti di Polonia e Ungheria ha operato una sostituzione valoriale che rovescia il senso storico degli eventi della Seconda Guerra Mondiale e degli assetti sociali ed istituzionali emersi da quella linea di faglia fondamentale e che non esprime soltanto una rilettura revisionista del passato ma una proposizione regressiva del futuro dell’UE.

La Resistenza rappresentò, insegna Claudio Pavone, tre tipi di conflitto connessi, complessi e in ultima istanza unificanti: guerra di liberazione nazionale dall’occupante tedesco e fascista; guerra civile che oppose europei fascisti ad europei antifascisti; guerra di classe che pose all’ordine del giorno la partecipazione diretta e le istanze di emancipazione delle masse popolari e del lavoro nella vita pubblica e nella rifondazione degli Stati democratici. Da questo insieme di fattori emerse la risposta sistemica, sostanziata dalla «Scelta» dall’impegno diretto delle giovani generazioni, alla crisi europea terminata nel 1945.

Rovesciare, come ha fatto la Risoluzione europea e come fa il populismo storico, il patrimonio dell’antifascismo e della Resistenza all’interno di una generica condanna del totalitarismo, usato come categoria del politico, apre le porte alla disgregazione di quella «civiltà delle persone» posta come base della nuova Europa di cui scrissero nel 1943 Spinelli e Wilhelm Ropke.

Il populismo storico prova ad eradicare dal corpo valoriale antifascista i comunismi (una pluralità di fenomeni non riducibili a sintesi nominale) che invece lo animarono in ogni paese del continente. In questo modo non solo si nega il carattere unitario della Resistenza ma si mina la legittimità stessa delle istituzioni nazionali e sovranazionali sorte all’indomani della vittoria sul nazifascismo. Non sembra un caso, quindi, che siano proprio i governi dell’estrema destra antieuropea di Varsavia e Budapest a promuovere una rilettura tanto regressiva del passato.

Partiti e movimenti comunisti ebbero un ruolo decisivo, in molti casi maggioritario sul piano politico-militare, in seno alle Guerre di Liberazione di tutti i paesi del continente, contribuendo in modo determinante alla ricostruzione delle democrazie non solo nel quadro delle transizioni post-belliche ma anche nella metà degli anni ‘70 dopo la caduta delle dittature nel sud-Europa.

Nel 2013, nel pieno della crisi economica globale, fu la grande banca d’affari JP Morgan ad incaricarsi direttamente della battaglia ideologica contro l’antifascismo indicando nelle Costituzioni nate dalla Resistenza e dopo la fine delle dittature in Grecia, Portogallo e Spagna il punto di intralcio da divellere per una piena affermazione del paradigma liberista.

Nel fuoco di questa nuova crisi pandemico-economica va combattuta, sullo stesso terreno ed in direzione opposta, la battaglia culturale e politico-sociale delle nuove generazioni europee chiamate a raccogliere l’eredità del passato come dispositivo d’azione e Liberazione del tempo presente e come unico strumento di conquista del futuro.