«La Cina ha permesso ai suoi voli di infettare il mondo. Deve essere ritenuta responsabile della diffusione di questa piaga». Donald Trump ci mette pochi minuti a macellare ogni e qualsiasi possibilità di multilateralismo, parola d’ordine desueta che l’epidemia di Covid 19 aveva fatto tornare d’attualità – niente come un virus obbligherebbe alla risposta unitaria globale, a parte il clima.

Benvenuti alla 75esima assemblea generale dell’Onu, cifra tonda che normalmente evoca bilanci, vecchi sogni e buoni propositi, ma di normale il presidente degli Stati uniti non ha nulla, e nemmeno il momento elettorale del paese che ospita la casa comune di 193 nazioni.

In molto meno del quarto d’ora assegnato a ogni leader, il presidente degli Stati uniti in versione videoregistrata spende parole di fuoco contro il «China virus», l’Organizzazione mondiale della sanità «marionetta della Cina» e la Cina in prima persona: «A 75 anni dalla fine della seconda guerra mondiale e dalla fondazione dell’Onu ci troviamo ancora impegnati in una battaglia globale (…) e abbiamo lanciato la mobilitazione più aggressiva dalla seconda guerra mondiale».

Parole che rimbalzano in una stanza vuota: il massimo vertice dei leader mondiali avviene infatti senza i leader mondiali, tutti impediti dal Covid e dalla quarantena prevista per chi avesse avuto l’originale pensata di partecipare all’appuntamento.

Niente assembramenti televisivi davanti al venerando Palazzo di Vetro, niente carovane di limousine che sfrecciano impunite lungo l’East River (i newyorkesi le odiano perché parcheggiano ovunque e non pagano mai le multe), niente mandrie di burocrati ad alto reddito a occupare militarmente hotel e ristoranti stellati – stimate diecimila presenze in meno nelle due settimane di assemblea generale – e nessuna impennata di escort, genere di consumo particolarmente apprezzato dai diplomatici in trasferta. Un rappresentante accreditato per ogni paese, e stop.

È la «Zoom diplomacy», dal nome dell’applicazione cellulare per le videoconferenze e dell’omonima società californiana che ne ha riempito il mondo: solo interventi registrati, nessuna interlocuzione, mucchi di «ti dirò il resto più tardi». Le corse notturne del presidente francese Macron tra le suites di Trump e dell’iraniano Rohani per strappare un accordo sul nucleare, un anno fa, sono passato remoto.

Dopo Trump è andato in onda il presidente cinese Xi Jinping, ed è toccato ai cronisti incrociarli tra loro, in una specie di ping pong in cui gli avversari giocavano a 11mila chilometri di distanza tra loro. «La pandemia va affrontata insieme, uniti e seguendo la scienza. Ogni tentativo di politicizzare la pandemia deve essere respinto – ha detto Xi dal teleschermo – Non vogliamo guerre fredde e nemmeno calde, con nessun paese».

Trump: «Sono orgoglioso di aver messo al primo posto l’America. Distribuiremo un vaccino, sconfiggeremo il virus, metteremo fine alla pandemia e entreremo in un’epoca di pace e prosperità». Xi: «I vaccini della Cina saranno resi disponibili come bene pubblico globale, e saranno forniti ai paesi in via di sviluppo».

Trump: «Solo quando ti occupi prima dei tuoi propri cittadini puoi trovare le vere basi per la cooperazione». Xi: «Il mondo non deve cadere nella trappola dello scontro di civiltà e deve dire no all’unilateralismo». E via così, nel giorno in cui gli Usa raggiungono il 200millesimo morto di Covid e superano i 6 milioni e 860mila infetti, in questo indiscussi leader mondiali.

Sempre più potenza regionale, il presidente russo Putin chiede di «eliminare le sanzioni illegittime» e di «mantenere il diritto di veto» ai membri del consiglio di sicurezza e anzi di «convocare un G5 per le questioni più scottanti», insomma un oligolateralismo.

In apertura il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres aveva chiesto di «evitare a tutti i costi una nuova guerra fredda». Ma la Zoom diplomacy non sembra meno calda delle precedenti.