La resistenza degli stranieri che hanno lottato per la liberazione della Francia entra al Panthéon. Oggi, l’armeno Missak Manouchian, operaio, poeta, capo militare dei Ftp-Moi, con la moglie Mélinée saranno trasferiti nel tempio laico della storia francese, e accanto ai due feretri inumati nel caveau numero XIII ci sarà una targa con i nomi dei 23 condannati a morte al processo cosiddetto dell’Affiche Rouge, 22 fucilati 80 anni fa, il 21 febbraio 1944 al Mont Valérien, principale luogo di esecuzione di resistenti da parte dell’esercito tedesco in Francia.

Sono comunisti, internazionalisti, rivoluzionari, armeni, ebrei, spagnoli, italiani, bulgari, rumeni, ungheresi, polacchi, una sola donna, Golda Bancic, trasferita dai nazisti a Stuttgart e ghigliottinata il 10 maggio seguente (i tedeschi evitavano di giustiziare le donne sul suolo della Francia occupata). È la prima volta che viene reso omaggio a degli stranieri resistenti, Joséphine Baker, entrata al Panthéon tre anni fa, aveva acquisito la nazionalità francese, mentre la Resistenza è già rappresentata, da Jean Moulin fino a Geneviève De Gaulle-Antonioz, ma mai erano state aperte le porte ai non francesi, per di più comunisti.

LA DECISIONE è stata annunciata da Emmanuel Macron il 18 giugno dell’anno scorso, in occasione dell’anniversario dell’Appello di De Gaulle alla resistenza, mentre nel prossimo giugno saranno celebrati gli 80 anni dello Sbarco in Normandia. I fucilati dell’Affiche Rouge sono stati celebrati da Louis Aragon nel 1955, nelle Strophes pour se souvenir, che parafrasa l’ultima lettera scritta da Manouchian alla moglie, poema poi trasformato nella canzone L’Affiche Rouge da Léo Ferré nel 1959. Tra loro un italiano, Rino Della Negra, 20 anni, operaio, promessa del calcio alla Red Star di Argenteuil.

L’Affiche Rouge è un manifesto dove domina il rosso, affisso nel marzo 1944 in 15mila esemplari dagli occupanti tedeschi, per denunciare i «liberatori», definiti «l’esercito del crimine», equiparati a terroristi, denigrati come stranieri e giudeo-bolscevichi: sono rappresentati i volti di dieci «criminali», 7 dei quali erano ebrei. Il «Manifesto Rosso», attraverso Aragon e Ferré, è poi diventato il simbolo dell’eroismo degli stranieri.

Due mesi dopo la controversa legge sull’immigrazione e mentre è in discussione la limitazione dello jus soli a Mayotte, l’entrata di Manouchian al Panthéon è l’occasione, per Macron, di correggere la deriva, almeno simbolicamente. Alla cerimonia, tra gli invitati di primo piano, ci sono il primo ministro armeno (Missak e Mélinée erano entrambi sopravvissuti al genocidio del 1915), i dirigenti del Pcf e della Cgt, Macron auspica che «per decenza» l’estrema destra eviti di essere presente. Ma, nel frattempo, Marine Le Pen ha annunciato la sua intenzione di assistere alla cerimonia.

UNA MOSTRA al Mémorial de la Shoah a Parigi, Degli stranieri nella Resistenza in Francia (fino al 20 ottobre), ripercorre la storia di questi uomini e donne, che erano sovrarappresentati nella lotta di liberazione, raggruppati nei Ftp-Moi (Franchi-tiratori partigiani-Manodopera immigrata), di cui Manouchian è stato tra i dirigenti, organizzati dal Pcf dopo la rottura del patto germano-sovietico.

La co-curatrice, Renée Poznanski, sottolinea la «polivalenza identitaria» di questi resistenti, che avevano diverse origini, molti ebrei, ma tutti animati dalla comune volontà di lottare contro il nazismo, per un mondo più giusto. Manouchian è un simbolo e come tale porta una semplificazione dei fatti storici. Non sono mancate le polemiche. Dopo una lettera aperta, uscita il 24 novembre scorso, la storica Annette Wieviorka, parla di «occasione mancata», Macron «si è fatto imbarcare in vecchie leggende». Dopo Simone Veil, lo scrittore Maurice Genevoix, Joséphine Baker e i Manouchian, Macron porterà al Panthéon anche Robert Badinter, il ministro della Giustizia che ha abolito la pena di morte nel 1981, contro l’opinione pubblica.