Quando un pontefice visitò per la prima volta Cipro era il 2010. Il papa era Ratzinger e i ciprioti lo accolsero con curiosità ma anche con un po’ di timore.

Timore dovuto al fatto che, mentre Benedetto XVI volava verso l’isola, Ankara pensò di mandargli un messaggio assassinando il vicario apostolico per l’Anatolia Luigi Padovese. Un delitto che inevitabilmente ha condizionato le parole e i gesti del papa nei suoi incontri ciprioti.

Ora con Francesco è successo esattamente il contrario. In questi due giorni è scoppiato un vero e proprio innamoramento tra i ciprioti e il papa. Un sentimento evidente, confermato da amici e conoscenti ciprioti, non necessariamente religiosi, ma anche gettando uno sguardo sui volti assorti che hanno seguito con grande interesse ogni mossa e ogni parola di un leader religioso venuto da molto lontano ma molto vicino ai loro cuori.

MASSE SORRIDENTI e acclamanti, riversate lungo i suoi spostamenti, ai margini degli incontri ufficiali, affluite nel grande stadio GSP di Nicosia per la preghiera collettiva.

Anche Francesco ha affrontato Cipro con grande capacità comunicativa. Ha regalato al presidente Anastasiades una medaglia che raffigura da una parte i santi che hanno evangelizzato l’isola e dall’altra una mappa che raffigura Cipro inserita nel contesto della cultura ellenistica.

Sa bene che Cipro non è la Grecia, dove i cattolici sono pochissimi e c’è scarso interesse verso il Vaticano e il suo pontefice. Cipro è un’isola plurireligiosa, con una maggioranza di ortodossi, affiancati da un’attivissima comunità di cattolici maroniti, da armeni, da qualche anglicano ma anche da turchi musulmani.

Miracolosamente il papa ha saputo entusiasmarli tutti, perfino i pochi turco-ciprioti che hanno attraversato la linea del cessate il fuoco. Con le sue parole ha colto con grande attenzione gli elementi che uniscono gli isolani e ha esaltato la cultura della convivenza e dello scambio culturale.

La parola chiave il papa l’ha pronunciata già prima di atterrare all’aeroporto di Larnaca, ed era la parola «muro», come quello che divide l’isola in due, con la parte settentrionale sotto occupazione turca.

L’HA RIPETUTA nella cattedrale maronita, simbolicamente collocata proprio sulla linea divisoria e presidiata dai caschi blu. Là il pontefice ha esortato i «fratelli a ricordare a tutta l’Europa che dobbiamo abbattere i muri e coltivare la cultura dell’unità».

Più tardi, di fronte al presidente cipriota Nikos Anastasiades ha voluto rendere il discorso più esplicitamente politico: «La ferita più dolorosa per questo paese è il trauma subito negli ultimi decenni. Rifletto sul dolore di coloro che non possono tornare nelle loro case e nei loro luoghi di culto. Prego per la vostra pace, per la pace in tutta l’isola, pace che auguro con tutto il cuore. La via verso la pace, che guarisce i conflitti e fa rinascere la bellezza della fraternità, è tracciata lungo una parola: dialogo».

Il muro però non ferma solo le armate turche ma anche le centinaia di migranti che si sono riversati nella parte occupata, sperando di attraversare la linea del cessate il fuoco pur di arrivare nella parte europea dell’isola.

I CIPRIOTI SONO OSPITALI e generosi ma temono che il presidente turco Erdogan tenti di giocare anche con loro la carta dell’immigrazione di massa, sicuramente un problema serio per un’isola di appena 600mila abitanti.

Anche su questo delicatissimo argomento il pontefice si è mosso con grande delicatezza: nel ripetere il dovere umanitario della carità ha dato il buon esempio portando con sé in Vaticano un gruppo di 50 richiedenti asilo.