Sono giorni di forte tensione in Libano. L’esercito israeliano lancia attacchi mirati a Baalbek su alcuni depositi di Hezbollah e a Tiro con aviazione e droni. Due i morti: a Baalbek il calciatore Ali Ghorayeb e a Tiro Hadi Mustafa, quadro delle Brigate al-Qassam di Hamas. Ieri ha centrato una casa a Naqoura. Dall’inizio del 2023 si sono intensificati gli attacchi in Libano, ben oltre la linea di confine dove si erano concentrati gli scontri fino al allora.
Ne abbiamo parlato con Mohanad Hage Ali, vice-direttore del Malcolm H. Kerr Carnegie Middle East Center a Beirut.

Quali sono i possibili scenari nella guerra tra Hezbollah e Israele nel prossimo futuro? Quali le conseguenze in Libano di un eventuale cessate il fuoco a Gaza?
Ci sono diversi scenari possibili. Il primo riguarda i negoziati statunitensi su un cessate il fuoco a Gaza e un accordo in Libano con Hezbollah su un indietreggiamento della milizia di 7-9 km dal confine, assieme a un coinvolgimento maggiore dell’esercito libanese e della missione dell’Onu Unifil. Una bella sfida, un importante investimento di tempo e soldi che, data la crisi economico-finanziaria libanese, andrebbero chiesti a un donatore che al momento non c’è. Il secondo scenario prevede la possibilità che, raggiunto un cessate il fuoco a Gaza, Israele continui la sua escalation in Libano – colpendo sia miliziani che civili, come fatto finora – con l’obiettivo di un negoziato successivo con Hezbollah, senza però entrare in un conflitto su larga scala. Il terzo è una guerra con Hezbollah su larga scala e ciò, dato il livello scarso dei negoziati in atto, pare il più probabile. Hezbollah ha perso molta della sua capacità di deterrenza e si trova in una posizione molto difficile. Se la guerra finisse, si troverebbe nella condizione di dover continuare a subire attacchi sporadici in territorio libanese che resterebbero senza possibilità di risposta: una situazione pericolosa.

Come sta influendo questo conflitto sulla già difficile situazione politica interna libanese e sulla crisi economico-finanziaria?
Il conflitto ha certamente un impatto sulla situazione interna. Lo stallo precedente ora è peggiorato. C’è bisogno di una discussione onesta sulle armi di Hezbollah, che questi rifiuta. L’opposizione accusa Hezbollah di decidere su pace e guerra nel paese, prerogativa che dovrebbe invece essere collettiva. È necessaria una transizione di potere da Hezbollah alla sovranità libanese e credo che questo dibattito diventerà più duro in seguito. Possiamo trovare però anche aspetti positivi sul piano politico: nell’ambito della mediazione statunitense tra Hezbollah e lo stato libanese e tra Hezbollah e Israele, un ruolo più forte dell’esercito libanese al confine sud vorrebbe dire la fine dello stallo, una specie di transizione in cui il Libano potrebbe stare in piedi da solo economicamente e non essere totalmente dipendente da sovvenzioni esterne. Il superamento dello stallo, conseguenza anche della polarizzazione nella regione, è importante per la stabilità interna e in chiave regionale. Il conflitto ha in questo senso accelerato l’intero processo, rendendolo più urgente sul piano nazionale e internazionale.

Che impatto sta avendo la guerra sul potere egemonico di Hezbollah in Libano?
La guerra ha fatto emergere dubbi sulla capacità di Hezbollah di deterrenza nei confronti di Israele e ciò ha avuto un impatto sulla percezione e sulla egemonia di Hezbollah. Altri continuano a pensare che l’azione di Hezbollah sia indispensabile ad arginare Israele, evitando al Libano lo stesso destino di Gaza. La guerra tuttavia non è finita e non è possibile prevedere quali saranno le ripercussioni su Hezbollah. Per il movimento potrebbe avere un esito positivo se sarà capace di dimostrare l’importanza delle sue armi nella difesa della sovranità del Libano.

In che modo la guerra a Gaza sta cambiando gli equilibri e le strutture di potere nell’intera regione?
La spinta a normalizzare le relazioni con Israele senza tenere conto dei palestinesi e i loro diritti adesso non è più possibile. In primo luogo, si è dimostrato che Israele non è invincibile e che dipende interamente dal supporto esterno dei suoi alleati: se non fosse stato per il supporto dell’occidente, si sarebbe trovato a combattere una guerra totalmente differente a Gaza. In secondo luogo, l’immagine di sé che Israele ha provato a diffondere nella regione di amante della pace, demonizzando i palestinesi, è stata ampiamente confutata. Ora la percezione è quella di un potere criminale supportato dall’occidente, senza moralità, non più un partner con cui costruire la pace, ma un paese indagato dalla Corte internazionale di Giustizia per genocidio. La normalizzazione che abbiamo visto avrà una battuta d’arresto. Se ci sarà un’amministrazione Trump assisteremo probabilmente a un tentativo di rimetterla sul tavolo. Operazione difficile, specialmente a livello popolare: questa guerra ha fatto prendere posizione a milioni di persone nella regione e fuori e ciò avrà certamente un impatto nel breve e nel lungo termine.