Foto appese su una parete che rimandano a felicità perdute e a sorrisi che ora si sono trasformati in espressioni contratte, imbarazzate, incredule. Già, perché il passato di Anne e Philippe si è congelato. Non è più materia fluida che scorre nel presente, ma solo un oggetto cristallizzato da usare per recriminazioni e accuse.

In uno studio di avvocati si parla di proprietà e redditi, di rivendicazioni e possibili spartizioni, di professioni portate avanti brillantemente e di carriere interrotte prima ancora di iniziare per spirito di sacrificio. La vita rivista in retrospettiva non sembra la stessa di quella che si svolgeva al presente.

Anne pensa che gli ultimi sette anni siano stati un inferno, li percepisce così, e per questo chiede un risarcimento. Philippe rinfaccia che in quegli stessi anni, la coppia, non lui, ha beneficiato dei grandi profitti derivati da un prestigioso lavoro in un’azienda che fa capo a una grande multinazionale statunitense.

Così, la discussione degenera in un conflitto di natura personale, basato su due interpretazioni opposte della medesima storia. Questo è il punto di partenza di Un altro mondo di Stéphane Brizé, in concorso alla Mostra di Venezia 2021. Opera che, dopo La legge del mercato (2015) e In guerra (2018), chiude la cosiddetta trilogia critica sul mondo del lavoro.

LE RIVENDICAZIONI, però, non terminano nella stanza degli avvocati, che vorrebbero risolvere la questione sbrigativamente con delle carte da firmare e non con una tardiva terapia di coppia. Le crepe si estendono oltre. Philippe, infatti, vacilla anche nel luogo che presumibilmente è l’epicentro della sua crisi coniugale.

La multinazionale per cui lavora esige una nuova e più radicale ristrutturazione. Licenziamenti, ricollocamenti, delocalizzazioni, Philippe è alle prese con il cupo armamentario in possesso delle imprese che trattano i lavoratori come merce funzionale a un progetto a corta gittata, impalpabile, che sfugge ai desueti ragionamenti nei quali entravano in gioco la competenza, l’idea di essere efficienti, la possibilità di realizzare un buon prodotto.

Dai piani alti fanno capire che il mezzo è il fine, che il fine è il mezzo. Cioè che il licenziamento è punto di partenza e d’arrivo dell’ennesima restaurazione. E Philippe è un braccio armato, l’esecutore, quello che forse capirà la profonda ingiustizia della situazione, ma che intanto si adegua ai piani dei suoi superiori. «Mi chiedono di rinunciare a 58 persone e tu me ne dai 30», dice Philippe scocciato al suo collaboratore che si rifiuta di elaborare una strategia per assecondare la smisurata volontà di profitto dell’azienda. Lo sanno tutti che buttare fuori quel numero di lavoratori non significherebbe salvarne 500, ma semplicemente portare i sopravvissuti allo stremo, frantumando ogni loro residua capacità professionale.

Lo sa anche il capo dei capi dagli Stati uniti che, però, fa capire che tutto quello che è buon senso non è argomento per una discussione e per una rielaborazione delle leggi del lavoro e del mercato. Tutti rispondono a Wall Street, confesserà compiaciuto, il boss, quasi avesse evocato Dio e i comandamenti scritti indelebilmente su pietra. E poi c’è Lucas. Il figlio di Anne e Philippe.

La terza traccia narrativa, in un percorso nel quale al marito in crisi e al dirigente in difficoltà si unisce il padre in ansia.

CI SAREBBE anche Juliette, l’altra figlia, ma lei è distante, tenuta all’oscuro anche dei problemi mentali che hanno colpito il fratello. Questo filo narrativo, potrebbe rappresentare simbolicamente la perdita di senso del mondo. E la speranza che ne sorga un altro, uno con codici nuovi.

Nel film, al di là della tenerezza che può suscitare la figura di un ragazzo che non riconosce più i punti cardinali per orientarsi nell’esistenza con gli altri, questa parte, ancor più di quella dedicata al divorzio, sembra fin troppo funzionale a far apparire Philippe un personaggio con il quale è possibile empatizzare. Sottolineando, in questo modo, la mancanza di coraggio di Brizé che, peraltro, propone un personaggio che a ben guardare può permettersi di scegliere la dimensione privata perché nel mondo che va in pezzi saranno altri a farsi veramente male.