Ogni anno come nel succedersi delle stagioni, da vent’anni a questa parte, arriva la breve ma densa stagione della memoria. La memoria della Shoà è per raccogliersi nel lutto, per trasmettere la conoscenza dell’orrore assoluto, per il dovere pedagogico di formare le nuove generazioni perché formino anticorpi contro l’antisemitismo, il razzismo, l’antiziganismo, contro l’odio per le minoranze e le alterità e perché guardino al loro simile come ad un fratello. Questo è ciò che ci aspetteremmo dal «Giorno della Memoria». Ma da alcuni anni, per la verità già dopo un lustro dalla sua istituzione, ho cominciato a provare un crescente disagio verso le modalità della sua celebrazione che si svolge con un alluvione ridondante di retorica, di falsa coscienza e di ignobile strumentalizzazione. Come ebreo io verso necessariamente il mio tributo a questa parte della mia identità e lo ho sempre fatto con particolare dedizione e intensità.

Ma c’è un’altra identità a cui io sento il dovere imperativo di versare un costante tributo, quella universale di essere umano che sola mi permette di accedere alle altre che formano la mia personalità. Nei lager nazisti furono annientati soprattutto esseri umani, ebrei, rom e sinti, menomati, testimoni di geova, omosessuali, slavi, antifascisti di ogni orientamento ed emarginati considerati antisociali. Certo, ci fu uno specifico antisemita virulento nell’ideologia nazista è innegabile, ma ciò non giustifica l’uso strumentale della memoria perché non si può stabilire una graduatoria fra le vittime, né fra quelle di ieri né fra quelle di oggi. Ad Auschwitz subito dopo la sua liberazione ad opera dell’armata rossa, con le ceneri degli annientati ancora pulsanti, fu pronunciato un giuramento solenne: «Mai piu!».

Nessuno può sostenere che quel monito riguardasse solo gli ebrei ma è indubbio che il suo senso fosse quello di operare per un mondo dove nessun uomo e nessun popolo sulla terra dovesse patire forme di oppressione, discriminazione, deportazione, occupazione, violenza. La solenne carta dei diritti universali dell’uomo e dei popoli ratificava quel solenne impegno. La carta delle Nazioni unite e le sue risoluzioni dovevano garantire l’impegno delle nazioni della terra a costruire un mondo di pace e di rispetto dei diritti. Tutta questa solennità è diventata carta straccia, abbiamo ancora visto genocidi, guerre criminali di ogni sorta, politiche miranti ad egemonie geo strategiche ed economiche, stragi di massa, fosse comuni, stermini perpetrati con orrori che ogni conflitto armato in quanto tale porta con se.

I militanti della pace sono calunniati o irrisi. Di fronte alle ragioni del potere e degli interessi economici dei grandi potentati privati le vite delle donne degli uomini dei bambini valgono meno degli insetti. Il celebrativismo pletorico e strumentale del Giorno della Memoria diventa tragica ipocrisia, mentre i giusti e i seminatori di pace onorano la memoria degli sterminati, di tutti gli sterminati, anche i milioni di civili sovietici che conobbero la ferocia spietata del nazifascismo, per i militaristi e i guerrafondai questo giorno è una mascherata per ripulirsi la coscienza con un teatrino istituzional-mediatico. Chi non ripudia la guerra con tutte le sue forze si fa complice di nuovi terrificanti orrori, così fa chi strumentalizza la memoria per calpestare le vite, i diritti, la dignità e la libertà degli altri e anche chi è stato oppresso deve sapere che quando opta per potenza, violenza ed oppressione non fa eccezione. Io tanto devo alla mia coscienza e solo ad essa.